Alcune delle persone allontanate dai portici vicini alla stazione di Bologna sono state ritrovate la stessa sera in un’altra zona della città dagli operatori di Piazza Grande. Il daspo urbano è inefficace per la soluzione del problema sociale, ma rappresenta un’arma di propaganda elettorale. A Bologna esiste un nucleo di “rough sleepers” perché il servizio di accoglienza divide i nuclei famigliari. L’intervista a Leonardo Tancredi.

Gli operatori dell’unità di strada di Piazza Grande, l’associazione che si occupa di senza fissa dimora, erano in contatto con le persone oggetto di daspo urbano  da parte di Polizia Municipale e Polizia di Stato. “Il luogo da cui parte l’uscita notturna dei nostri operatori – spiega Leonardo Tancredi, direttore di Piazza Grande – è a pochi metri da dove dormivano quelle persone”.
Una volta allontanate dalla zona della stazione, col pretesto che intralciavano il passaggio pedonale, quelle persone non hanno lasciato la città, ma sono state incontrate dagli stessi operatori dell’unità di strada in un’altra zona. “Questo dimostra l’inutilità di quel provvedimento“, osserva Tancredi.

Se si indagano le ragioni per cui quelle persone sono per strada, però, è facile smontare la retorica che attribuisce agli indigenti la colpa della loro povertà.
Oltre ai problemi cronici dei tagli che i servizi a bassa soglia hanno subito ormai da anni, ai nuovi problemi connessi all’ingente presenza di richiedenti asilo fuoriusciti dai percorsi di accoglienza, fino a questioni più marginali ma comunque indicative, come la chiusura del dormitorio sociale di Accoglienza Degna (che dava un tetto ad una trentina di persone) con lo sgombero di Làbas dello scorso agosto, una parte delle criticità risiede nell’organizzazione dei servizi stessi.

“A Bologna esiste un nucleo di ‘rough sleepers‘, cioè di persone che, nonostante le difficoltà, preferiscono dormire per strada che andare in dormitorio – racconta Tancredi – Ciò spesso è dovuto al fatto che in dormitorio i nuclei famigliari vengono divisi, con le donne mandate in una struttura e gli uomini in un’altra o per strada“. Il sistema di accoglienza, dunque, dovrebbe tenere conto di questi bisogni, che non rappresentano una grossa pretesa.
In realtà, un’organizzazione diversa dei servizi a bassa soglia è possibile e già esiste. La stessa Piazza Grande dà vita a progetti di “hounsing fist“, con cui ai senzatetto viene dato un alloggio in affitto che vede come garante l’associazione stessa.
“Si tratta di invertire il paradigma che vede la casa come tappa finale di un percorso – sottolinea Tancredi – Mettendola al primo posto, essa diventa strumento per l’autonomia delle persone”.

In ogni caso, la questione dei daspo urbani va ben oltre questo tema e rappresenta una mera questione politica.
Se l’allontamento è inefficace sul piano sociale, rappresenta però un messaggio politico mandato alla città: l’idea di un’intransigenza e un pugno di ferro nei confronti di ciò che viene deliberatamente ritenuto “indecoroso”, priva però di ogni analisi su ciò che ha creato e alimentato la povertà.
In Europa c’è chi ha fatto scuola, come il presidente autoritario dell’Ungheria, Victor Orban. “Nel 2013 fece approvare una legge che impediva a chiunque di occupare uno spazio pubblico, in una situazione in cui a Budapest erano presenti quattromila senza tetto fuori dai dormitori”, ricorda il direttore di Piazza Grande. Fino al filo spinato contro i migranti.

Il decreto Minniti, ora legge, va in quella direzione e ricerca la costruzione delle città come di luoghi dedicati allo shopping, al turismo e da cui la marginalità e la povertà devono essere allontanate.
“Nella legge si fa un riferimento esplicito a luoghi come le stazioni o zone turistiche e di pregio della città – ricorda Tancredi – È da queste zone che la manifestazione della povertà deve essere allontata”.

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