A una settimana dal referendum che dovrà decidere la permanenza o l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, un uomo forse vicino ai nazionalisti ha ucciso in modo efferato la deputata laburista Jo Cox. La campagna elettorale è stata sospesa. Fino a un minuto prima erano in vantaggio i favorevoli all’uscita.

La campagna elettorale per il voto sulla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, è stata sospesa. Ieri pomeriggio la deputata laburista Jo Cox è stata uccisa in modo efferato da un uomo che, secondo alcune testimonianze, avrebbe gridato “Britain first“, che è lo slogan di un movimento dell’estrema destra conservatrice favorevole alla Brexit.
Cox era impegnata nella difesa dei diritti umani e nella cooperazione internazionale. La sua vicinanza ad Oxfam, il suo sostegno alla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, il suo impegno a favore dei migranti potrebbero essere stati i motivi alla base dell’aggressione.

Non è chiaro se l’uccisione della parlamentare condizionerà il voto, ma l’omicidio sembra essere il punto più acuto di un’atmosfera contraddistinta da violenza verbale. Ai nostri microfoni, da Londra, Lou Del Bello, giornalista e curatrice della pagina Brexit Watch  racconta che “l’atmosfera era già diventata molto tesa nelle ultime settimane, in un periodo caratterizzato da un cambiamento significativo nei sondaggi, che vedono il campo ‘leave’ in vantaggio. Le persone erano da un lato molto preoccupate e dall’altro molto esaltate”.

Secondo la giornalista, il vento che pareva spirare in favore del fronte del “leave”, può essere spiegato con alcuni “vantaggi naturali di cui gode questa campagna”, che fa leva “su argomenti di facile presa: la paura dell’immigrazione e lo scetticismo verso le politiche economiche europee“. Da entrambi i fronti “sono state dette diverse bugie, il Washington Post ha parlato dell'”ignoranza” in merito alle argomentazioni e la consapevolezza sulle conseguenze di una scelta in un senso o nell’altro. La campagna leave sta traendo grande forza da tutte queste semplificazioni”, conclude Del Bello.

Il tema dell’immigrazione è uno dei temi centrali nella campagna referendaria e la xenofobia pare essere una delle ragioni principali che orienta il voto per il “Sì”. La paura, alimentata dal fronte del “leave”, fa infatti riferimento a un’ondata di immigrati che renderebbe impossibile garantire a tutti le stesse prestazioni sociali. “Parliamo di una paura infondata – osserva ai nostri microfoni l’economista Giacomo Bracci – La Gran Bretagna può sempre decidere di aumentare il suo disavanzo se c’è bisogno di più prestazioni sociali, senza dover necessariamente chiedere in cambio più tasse”.

Più in generale, a pesare sul voto del 23 giugno è l’incertezza attorno alle possibili conseguenze che deriverebbero dall’uscita del Regno Unito dall’Ue, in termini economici, politici e diplomatici. Da mesi si rincorrono svariate analisi e ipotesi in questo senso, ma una risposta certa è impossibile da trovare.
È possibile però tentare di fare un po’ di chiarezza, distinguendo i punti fermi dalle questioni derivanti dal confronto della campagna elettorale. Per Bracci, è possibile stabilire che sono due i tipi di incertezze concrete sulla Brexit: “se il Regno Unito uscisse dall’Unione, andrebbero rinegoziate due questioni, di ordine bancario e commerciale – spiega Bracci – l’autorizzazione alle banche inglesi a operare sul territorio europeo e l’appartenza della Gran Bretagna al mercato comune con il trattato di libero scambio“.

A questi punti interrogativi si accompagnano poi argomentazioni che, secondo l’economista, sono più frutto del clima da confronto elettorale che non da una concreta analisi della realtà. Per il fronte del “remain” è quella portata avanti da Cameron, secondo cui in caso di Brexit salterebbe il sistema pensionistico e ci sarebbe bisogno di misure di austerità. Come fa notare Bracci “già oggi, ma ancor di più in caso di Brexit, il paese ha un’autonomia in termini di spesa pubblica e di bilancio che altri paesi non hanno, e non è sottoposta a questo tipo di problema”.

Tornando a ragionare sui dati, “si vede che sono più gli altri paesi dell’Ue che esportano in Regno Unito e non il contrario. È plausibile che in caso di Brexit un trattato di libero scambio venga rinegoziato, il problema è che potrebbe esserci una serie di ritorsioni politiche da parte delle istituzioni europee – sostiene l’economista – diciamo che ci sono grandi incertezze politiche sui rapporti tra Ue e Regno Unito in caso di uscita, mentre i danni economici sono alimentati più dalle sirene della campagna elettorale da entrambi i fronti, che strumentalizzano queste paure”.

In molti, inoltre, temono che in caso di Brexit possa verificarsi un effetto domino, portando altri paesi dell’Ue a seguire l’esempio del Regno Unito, facendo leva sull’euroscetticismo e un diffuso sentimento di xenofobia. Secondo Bracci, in questo senso “c’è un rischio di disgregazione dell’Ue, con il rimanere in essere della struttura economica fatta di austerità e restrizioni di bilancio, ma un venire meno dei diritti garantiti, in termini di libera circolazione delle persone e delle merci”.