Sono circa 60 le vittime della strage carceraria avvenuta in un penitenziario della città di Manaus, il cuore dell’Amazzonia brasiliana. Il massacro si è consumato tra gli affiliati dei due più potenti cartelli del paese, e la collusione delle autorità pare essere stata determinante.

La Strage nel carcere di Manaus

Comincia all’insegna del sangue il 2017 del Brasile, che questo lunedì ha visto consumarsi nel complesso penitenziario Anísio Jobim (Compaj) di Manaus la seconda più grande strage carceraria della sua storia.
La rivolta è cominciata nel pomeriggio di domenica 1 gennaio e si è protratta per 17 ore fino al mattino di lunedì 2. I morti accertati sarebbero tra i 56 e i 60, tutti detenuti, mentre le 12 guardie carcerarie prese in ostaggio durante le drammatiche ore della ribellione sono state rilasciate incolumi.

Il segretario di pubblica sicurezza dello stato di Amazonas, Sergio Fontes, ha sin dalle prime ore dichiarato che si è trattato di un violento massacro tra fazioni criminali rivali, e più precisamente tra quelli che vengono identificati rispettivamente come il terzo e il primo cartello più potente del paese: la Família do Norte (FDN), dello stato di Amazonas, e il Primeiro Comando da Capital (PCC), originario invece di San Paolo, e tra le cui fila si conta il maggior numero di vittime.

Le testimonianze tracciano un quadro estremamente truculento: la carneficina si è consumata con armi da fuochi, coltelli, machete, e pare siano stati 6 i detenuti decapitati e lanciati dalle finestre del penitenziario. Il giudice Luis Carlos Valois, sul posto per negoziare la fine del bagno di sangue, ha parlato delle difficoltà nel tracciare il bilancio dei morti a causa del fatto che in molti fossero stati squartati e carbonizzati. L’estrema recrudescenza delle esecuzioni, secondo le autorità, sarebbe da attribuire all’intenzione di lanciare un avvertimento ai rivali.

La strage carceraria di Manaus è seconda solo al tristemente noto massacro di Carandiru, avvenuto nell’omonima prigione di San Paolo il 2 ottobre 1992, quando una rivolta carceraria fu duramente repressa nel sangue dalla Polizia Militare paulista che uccise 111 detenuti. Questo episodio rappresenta, ad oggi, la più grave sospensione dei diritti umani nella storia democratica del Brasile, ed è noto al di fuori del paese – oltre che per le cronache – per aver ispirato alcune scene del sequel del cult movie Tropa de Elite.

Le fonti indicano ragioni ben precise per le quali il bagno di sangue del complesso penitenziario Compaj sia stato di queste considerevoli proporzioni. Esiste un sistema di accordi criminali che si sta sgretolando, e la pax mafiosa vigente tra alcuni dei più grandi cartelli del Brasile è stata compromessa da un quadro in repentino cambiamento.

Durante lo scorso ottobre, la ventennale alleanza tra il PCC e il Comando Vermelho, il secondo gruppo criminale del paese e originario di Rio de Janeiro, è stata rotta. L’intesa tra i due cartelli esisteva, infatti, sin dagli albori del PCC, nato proprio dopo la strage di Carandiru a supposta tutela dei carcerati, e finito poi col diventare il più ramificato e meglio equipaggiato cartello del Brasile. Oggi, con l’Amazzonia affermatasi come snodo fondamentale nei traffici di cocaina provenienti da Perù, Colombia e Bolivia, il Comando Vermelho si è avvicinato alla Família do Norte, la quale detiene il controllo di quel grande porto fluviale sul Rio Negro che è Manaus. Già tra giugno e luglio del 2015, inoltre, la FDN aveva fornito manovalanza ai narcos carioca nella decapitazione di tre leader del PCC nelle carceri della capitale amazzonica.

Intanto, sulle colonne brasiliane di El País , si parla di omissioni di segnalazioni e di informazioni non corrispondenti tra gli organi della sicurezza pubblica. L’ipotesi di una pianificazione capillare che coinvolgesse anche parte delle autorità sembra essere confermata dal fatto che, pochissime ore prima dello scoppio della rivolta al Compaj, 87 detenuti erano evasi dall’Istituto Penale Antonio Trindade (IPAT), un altro carcere di Manaus. C’è motivo di credere che una forte collusione con gli agenti di custodia esistesse anche all’interno del Compaj stesso, a causa del fatto che – stando a quanto riportato dalla Polizia Federale – José Roberto Fernandes Barbosa (detto Messi), uno dei leader della FDN, avesse negoziato l’allentamento dei controlli su uno dei due padiglioni riservati agli affiliati al PCC.

La contraddittorietà delle versioni rilasciate dalle autorità sono alquanto palesi. Diversamente da quanto dichiarato dal segretario di pubblica sicurezza Sergio Fontes, il ministro della giustizia Alexandre de Moraes ha minimizzato il movente del regolamento di conti sostenendo che più della metà delle vittime non avesse legami con alcuna fazione criminale, posizione a cui hanno fatto eco le parole del Presidente Michel Temer, secondo cui “ribellioni con questo grado di ferocia non si verificano per un unico fattore”. Le dichiarazioni di Moraes sono state prontamente sconfessate da alcuni filmati che vedono alcuni detenuti, celebrando le esecuzioni, affermare che tutte le loro vittime fossero del PCC.

La gravosità delle responsabilità delle autorità federali e statali è tanto più acuita dal fatto che nel dicembre del 2015 il rapporto di un osservatorio sulla tortura interno al ministero della Giustizia (Mecanismo Nacional de Prevenção e Combate à Tortura) avesse già fatto luce sulle tensioni tra diversi gruppi criminali nel Compaj e in altri tre penitenziari dell’Amazzonia. In questa relazione di 45 pagine, il clima di generale autogestione e frequenti casi di tortura erano stati riportati; ampio risalto era stato dato, inoltre, alle “aree sicure” del Compaj, in cui già da allora erano concentrati i detenuti di opposta fazione a quella preponderante nel carcere, i quali avevano dichiarato di temere per la propria vita.

Intanto, nella giornata di lunedì, l’ONU ha diramato un comunicato in cui si richiede l’immediata investigazione sul massacro di Manaus.

Cristiano Capuano