Dopo l’operazione militare di sabato in Siria, Israele ammette di aver bombardato la base T4 controllata dagli iraniani e Mogherini, nel tentativo di frenare gli Usa, ribadisce la volontà di procedere con l’accordo per il nucleare iraniano. L’attacco chimico di Douma risulta sempre più un pretesto per altri interessi geopolitici. L’intervista a Giuseppe Acconcia.

Che l’operazione militare occidentale di sabato scorso in Siria fosse pretestuosa era chiaro a molti. Dal 2011, infatti, il popolo siriano è immerso in un conflitto che appare infinito e che ha prodotto un bilancio di vittime civili che sfiora le 100mila unità, ma l’interesse e la difesa del popolo siriano della compagine formata da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele sono stati piuttosto scarsi.

In queste ore, però, prende corpo la tesi che vuole la Siria come il terreno di una battaglia che travalica i suoi confini  e che vede contrapposti nuovi blocchi, impegnati nell’imprimere la propria direzione sia all’equilibrio del Medioriente, sia ad interessi legati al nuovo assetto geopolitico globale.
Il quadro è piuttosto complicato e difficilmente riassumibile in un binarismo da Guerra Fredda: oltre a Usa, Francia, Gran Bretagna e Israele da un lato e Russia, Iran e Siria dall’altro, infatti, ci sono altri attori, uno su tutti la Turchia, che giocano un ruolo non secondario.

Nei commenti seguiti all’intervento di sabato, ce ne sono alcuni che non sembrano riguardare propriamente la Siria e che sostanziano come gli interessi e gli obiettivi in campo.
Da un lato troviamo Israele, che ieri, attraverso una fonte militare riportata dal New York Times, ha ammesso di aver compiuto il raid aereo della scorsa settimana sulla base militare T4 vicino a Palmira, in Siria, sotto il controllo iraniano.
La motivazione sarebbe una risposta all’Iran che a febbraio avrebbe lanciato un drone carico di esplosivi nello spazio aereo israeliano.

Dall’altro lato troviamo le parole dell’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri, Federica Mogherini, che sempre ieri, al termine del Consiglio europeo sul tema in Lussemburgo, ha affermato che l’Unione Europea è impegnata a preservare l’accordo sul nucleare iraniano . “Siamo pronti ad affrontare le preoccupazioni che condividiamo con gli Usa – ha aggiunto – ma separatamente” dall’accordo.

“Israele è preoccupata per la presenza sempre più forte dell’Iran in Siria – spiega il giornalista Giuseppe Acconcia, autore de “Il Grande Iran”, ai nostri microfoni – Le milizie iraniane dei pasdaran sono molto numerose in Siria, quindi due delle preoccupazioni sono il rafforzamento del legame tra Iran ed Hezbollah, che è il movimento sciita libanese, anche attivo nella guerra civile siriana, e il ruolo essenziale dell’Iran nell’equilibrio nel conflitto siriano, poiché Teheran ha sempre sostenuto il presidente siriano Bashar Al Assad”.

Il giornalista ricorda l’incontro ad Ankara tra Putin, Rohani ed Erdogan a sostegno di Al Assad e gli abbattimenti incrociati tra Teheran e Tel Aviv nei giorni scorsi: numerosi episodi di scontro tra Israele e Iran, che possono rappresentare una chiave di lettura dell’operazione militare di sabato scorso.
In questa partita vi è poi il ruolo non secondario degli Stati Uniti, governati ora dai repubblicani, da sempre iranofobici, alle prese con i problemi interni dell’Amministrazione Trump e con un rimpasto di governo che ha portato ai vertici due figure, Mike Pompeo e John Bolton, da sempre favorevoli a bombardare l’Iran.

La questione dell’accordo sul nucleare iraniano, dunque, assume rilevanza se si considera che Israele e i repubblicani americani sono contrari. “Già alla fine dell’anno scorso – ricorda Acconcia – Trump ha deciso di de-certificare il rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. Questo comporterebbe l’imposizione di nuove sanzioni, anche se già alcune sanzioni hanno colpito l’establishment politico iraniano. Trump, dunque, vorrebbe imporre nuove sanzioni ed estendere al programma balistico iraniano, precedentemente escluso, i termini dell’accordo sul nucleare”.

C’è una data, il 12 maggio, nella quale si vedrà quale sarà la linea tenuta dagli Stati Uniti. Quel giorno, infatti, il Congresso è chiamato a dire l’ultima parola sul rispetto di Teheran dell’accordo. “La decisione potrebbe comportare un’escalation nei rapporti bilaterali – osserva il giornalista – e questo potrebbe avere degli effetti anche nel conflitto in Siria, visto il ruolo giocato dall’Iran. Non solo: questo dovrebbe ridiscutere anche l’apporto iraniano in situazioni come lo Yemen, l’Iraq e l’Afghanistan”.

Interessante, infine, è la posizione della Turchia. Sebbene apertamente Erdogan si sia schierato con il blocco russo, è altrettanto vero che il presidente turco è sempre stato un nemico di Al Assad, in linea con l’islamismo politico della Fratellanza musulmana, di cui il partito del presidente turco fa parte. Non è un caso, quindi, che quando si tratta di andare sul campo, Erdogan torni sui suoi passi e ritorni sulle posizioni originarie.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA: