Franco “Bifo” Berardi interviene nel dibattito sull’avanzata del neofascismo in Italia sottolineandone le cause sociali e psichiche: impotenza politica e impoverimento sociale innescano un sentimento di vendetta. La soluzione, però, non passa per la messa al bando delle organizzazioni di estrema destra, ma per una redistribuzione della ricchezza sociale.

Neofascismo: l’Italia si riscopre fascista?

“Il fascismo è destinato a crescere nei sentimenti della popolazione e nei comportamenti politici dei governi fino a quando la società non riacquisterà quelle risorse che le sono state sottratte”. Suona come un allarme quello lanciato da Franco “Bifo” Berardi, che interviene dalle nostre frequenze sul tema dell’avanzata del neofascismo.
Contrariamente a quanto indicato da Walter Veltroni o dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che lunedì ha richiesto l’applicazione delle leggi Scelba e Mancino con la messa al bando delle organizzazioni neofasciste, però, Bifo non crede che mettendo nella clandestinità le organizzazioni si possa risolvere il problema.

Molto meglio, allora, partire dall’analisi delle cause, che sembra mancare quasi completamente nelle dichiarazioni di esponenti politici.
Bifo individua due elementi distinti, ma per molti aspetti interconnessi. Da un lato il riaffiorare del sentimento di vendetta, che ha motivato anche il fascismo novecentesco. “I lavoratori, la maggioranza della popolazione, posti in condizione di impotenza politica e di impoverimento sociale perdono qualsiasi capacità di ragionamento e mettono in moto questa vendetta, anche autolesionista, che è il fascismo in Europa”.

Un fascismo, quello attuale, che ha anche tratti distintivi rispetto a quello novecentesco. “Quello di oggi è un fascismo degli impotenti, è un fascismo dei perdenti. Quello del Novecento era un fenomeno di aggressività con un’idea di futuro, mentre quello di oggi è un fascismo depresso”, osserva Berardi.
Le radici di quanto sta accadendo oggi, dunque, vanno ricercate nel deserto dell’esistenza quotidiana generato dal neoliberismo. “La signora Tatcher si presentò sulla scena dicendo che non esisteva la società – continua lo scrittore – ma esistevano individui, famiglie e imprese che competono per il proprio profitto. Questa è la filosofia che ha portato al fascismo”.

Il secondo elemento, invece, è rappresentato dalle politiche europee prima di austerità, che hanno tolto risorse al sociale e alla dimensione pubblica. Non a caso in territori come Ostia, dove il neofascismo è in forte espansione, si parla di “welfare nero”.
Negli ultimi due anni, inoltre, l’Europa è stata protagonista di una campagna violenta contro l’onda migratoria che – sottolinea Bifo – “non solo non si può fermare, ma è anche un fenomeno che andrebbe interpretato positivamente.
“I governi europei non hanno voluto affrontare questo problema – prosegue l’intellettuale – e il risultato è che si è trasformato in emergenza, vista dalla maggioranza della popolazione europea come un pericolo contro cui bisogna agire”.

È proprio nell’azione e nella reazione che si genera il corto circuito: “non c’è più nessuno strumento fin quando la società non riacquista le risorse sottratte”. Il punto è la legittimazione politica che il fascismo sta acquisendo nella vita e nei sentimenti quotidiani delle persone ed è su ciò che occorre agire.
“Bisogna disattivare la vendetta e redistribuire ricchezza sociale, abolire il fiscal compact e restituire alla società quello che le è stato sottratto negli ultimi 15 anni”, insiste Bifo.

L’intellettuale nei primi anni ’90 diede alle stampe un libro che oggi suona premonitore, intitolato “Come si cura il nazi“.
“La guerra civile in Jugoslavia di quegli anni fece riesplodere improvvisamente il nazionalismo e il fascismo – racconta Bifo – Fu uno shock molto forte per tanti e io mi domandai come dovevamo reagire al riemergere della bestia. Dobbiamo andare in guerra contro la bestia? No. Dobbiamo cogliere le radici sociali e psichiche, affettive, la solitudine, la competizione, la disperazione, la precarietà, il senso di non avere più nessuno strumento in mano per sopravvivere, per mandare a scuola i figli”. Un sentimento che accomuna maggioranza che non ha vinto e di cui oggi vediamo la reazione.

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