Aldo Milani è libero. Con queste parole il S.i. Cobas festeggia l’assoluzione del proprio coordinatore nazionale dall’accusa di estorsione ai danni di Alcar Uno. Un’accusa che per il sindacato fa parte di un sistema repressivo molto più ampio, che spazia dall’ambito legale (oltre 30 denunce sono state notificate la settimana scorsa ai delegati Italpizza) ai manganelli, passando per gli attentati di stampo mafioso.

Aldo Milani batte la repressione e torna libero

Si è conclusa questa mattina con l’assoluzione con formula dubitativa la lunga vicenda giudiziaria che vedeva il coordinatore nazionale dei Si Cobas Aldo Milani accusato di estorsione ai danni di Alcar Uno. Cade così quello che il sindacato aveva sempre definito essere un impianto accusatorio costruito ad arte, “una montatura giudiziaria – sottolinea Marcello Pini di Si Cobas Modena – ordita contro Aldo Milani ma contro tutto il Si Cobas e in generale le lotte sindacali. Nel senso che il teorema che stava alla base delle accuse di estorsione ai danni di Milani, al di là della scenetta organizzata con il passaggio della bustarella al consulente Piccini, l’obiettivo era quello di trasformare le vertenze sindacali, cioè la richiesta di pagamenti a favore dei lavoratori, come un’estorsione. Come l’ha definita il magistrato un’estorsione a fini sociali”.

A conferma di questa lettura interverrebbero proprio le oltre 4500 pagine di intercettazioni prese in esame nell’ambito della vicenda giudiziaria. “È venuto fuori il ruolo della questura – spiega Pini – le intercettazioni per cui il dirigente della Questura Barbieri esulta insieme a Lorenzo Levoni (della proprietà Alcar Uno, N.d.r) dicendo abbiamo fatto bingo, arrestare questo è come arrestare Luciano Lama ai tempi d’oro della Cgil ce l’abbiamo fatta, adesso abbiamo distrutto i Cobas, e via di questo passo. Si ricostruisce anche tutto il ruolo di Piccini come faccendiere e consulente all’interno di questo mondo torbido delle cooperative e delle imprese del tessuto economico modenese. E si arriva quindi oggi alla sentenza di assoluzione finalmente che chiude tutta questa vicenda giudiziaria e che mostra chiaramente che quello che dicevamo fin dall’inizio, che era una montatura, è stato dimostrato anche dal Tribunale”.

Proprio contro il clima repressivo che si respira a Modena e in solidarietà con Aldo Milani, ma anche e soprattutto per denunciare un sistema che colpisce chi lotta e difende chi sfrutta e minaccia lavoratrici e lavoratori, lo scorso 9 febbraio Si Cobas aveva chiamato a una manifestazione nazionale.  Una manifestazione che si era tenuta a Modena poiché ritenuta il teatro di una delle massime espressione del teorema repressivo denunciato dal sindacato, reso particolarmente evidente dall’ ormai nota vertenza Italpizza.

Una vicenda, quella di Italpizza, che a raccontarla dà l’impressione che ogni volta che ci si avvicina si facciano chiari fenomeni sempre più inquietanti. Qui e qui avevamo già parlato delle dinamiche di sfruttamento emerse nell’ambito della vertenza, iniziata il 28 novembre grazie al coraggio di alcune lavoratrici migranti che da allora sono impegnate in una dura lotta che ha portato all’iscrizione di oltre 100 lavoratrici e lavoratori al Si Cobas (qui la cronistoria dei primi mesi di vertenza). 

Se le dinamiche di sfruttamento sono emerse sempre più vividamente nei mesi passati, la scorsa settimana il teorema repressivo di cui parla Si Cobas ha assunto tratti particolarmente inquietanti. Poche ore dopo che il sottosegretario al ministero del lavoro Claudio Cominardi ha convocato tutti i soggetti coinvolti nella vertenza per un tavolo previsto il 15 maggio “vengono offerte somme in denaro a tutti gli iscritti al sindacato chiedendo di andarsene. Dicendo ve ne dovete andare da qua, o prendete i soldi oppure vedrete che sarà molto peggio. E vengono contattati tutti così. Su più di 110 iscritti 9 persone hanno in effetti accettato queste somme che gli sono state date con una conciliazione da parte della Uil (il sindacato che nell’ambito della vertenza italpizza è risultato essere quello “raccomandato” a lavoratrici e lavoratori da parte della proprietà, n.d.r.). La notte stessa va a fuoco la macchina del nostro delegato. Tra l’altro hanno tentato di far saltare in aria la macchina incendiandola dalla parte del serbatoio, per fortuna questo non è successo perché la macchina era veramente a 1,5/2 metri dalla porta di casa e all’interno c’era la moglie del nostro delegato incinta al nono mese. Contemporaneamente l’attacco avviene sia attraverso l’intimidazione mafiosa sia con una pioggia di denunce che guarda caso colpiscono i delegati sindacali tutti con delle accuse maggiori rispetto agli altri. Che ovviamente cadranno una volta arrivati in tribunale, però servono per fiaccare il morale. Cosa che non è successa. Noi mercoledì abbiamo questo incontro in cui chiederemo al ministero di farsi garante della possibilità nella provincia di Modena di poter svolgere un lavoro sindacale senza essere vittime di montature giudiziarie piuttosto che di attentati incendiari piuttosto che di denunce inventate. Questo è quello che chiederemo”.

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