Due giorni con Nicole Mitchell, Tomas Fujiwara, Eric Friedlander, Elliott Sharp, Katia Draksler, Jaimie Branch e tanti altri

SABATO

Non sai cos’è un inverno se non hai passato un estate a Saalfelden: con questa citazione chicagoana incontriamo Nicole Mitchell, guru dell’AACM della Wind City. Caratteristica della flautista è ricamare diverse tessiture musicali, a partire da quella tradizionale africana, mischiando suasioni improvvisate a elementi funky, delicate arie cantabili a ritmi ancestrali. Per ottenere questa miscela la musicista ha organizzato una band con all’interno la violoncellista Tomeika Reid dal tocco sempre vellutato, il flauto dolce baritono di Kojiro Umezaki e, come vocalist Avery Young, artista che ha trascinato il pubblico con un veemente intervento  a tutto rithm&blues, con la più classica voce  da “blues brother”: il contrasto tra le dolci melopee precedenti e la grintosa chiusura di Young ha fatto esplodere la platea in una generosa ovazione.

Prima di lei ha aperto il pomeriggio del Main Stage il trio acustico Punkt.vrt.Plastic dal sapore tipicamente jazzistico: Kaja Draksler al pianoforte, Petter  Eidth al basso e Christian Lillinger alla batteria..

L’atmosfera è tanto sobria quanto essenziale. Mentre la sezione ritmica (ottimo come sempre Lillinger) garantisce il beat swinging degno di ogni trio che si rispetti, , la pianista intesse su questa base un arricchimento costruito su una concezione di partitura colta, sicuramente retaggio indispensabile per una musicista cresciuta all’ombra della grande cultura classica. Infatti l’artista, slovena ma di stanza ad Amsterdam, puntella il tutto con accenti intrisi di Debussy o Satin, rovesciando temi inizialmente tratteggiati con una cadenza quasi monkiana. Una formazione ricca  davvero di grandi potenzialità ed artisti da tenere ben sotto osservazione.

A seguire una cartolina dagli anni ’60 con il quintetto guidato da John McPhee (sax e tromba).

Siamo nella piu’ completa situazione free. Come la storia racconta il fascino della new thing si misura non solo nella sua rottura storica  con un certo establishment politico-culturale, ma anche e soprattutto  nell’ incredibile capacità  di improvvisazione dei suoi straordinari protagonisti,  una ricerca geniale dell’essenza stessa della musica . Oggi la provocazione del tempo si è evidentemente del tutto logorata e l’improvvisazione della band di Mc Phee è davvero poca cosa. Rimangono solo delle folcloristiche citazioni free come certe cavate di basso alla Haden, certi gridi alla Ayler del tenor sax Daunik Lazro, e il sax placato in bianco alla Ornette Coleman del leader. Sotto il vestito nulla, se non la sempre capace ritmica del batterista Chad Taylor.

Completa la giornata la chitarra di Elliott Sharp, in apertura in un duo  con batterista nel piccolo stage del Nexus ed in chiusura in quartetto nel grande teatro centrale.

Prima al Short Cuts  Sharp evoca sapientemente visioni oniriche, manipolando tutte le timbriche possibili del suo strumento ed aprendo scenari sonori ricchi di pathos ed inquietudine. Poi, al Main Stage, inventa canzoni dal sapore gotico in compagnia della cantante Helene Breschand. Lei presenta una voce drammatica e disperata sulla scia dell’esperienza della Nico dei Velvet Underground (magari..!), lui si cimenta in brani diversi tra loro, ma sempre connaturati dalla visione “espressionista” della sua chitarra, fino a tratteggiare un blues alla Tom Waits,  dove le corde di Sharp ritrovano una loro classicità counthry.

In questa giornata di sabato in realtà si sono esibite anche altre formazioni, ma evitiamo di recensirle per non fare perdere tempo inutilmente a chi legge.

La maratona del sabato si conclude con un festival che, pur presentando cose importanti ed interessanti, ancora non riesce a spiccare quel volo di intense emozioni che le edizioni precedenti ci avevano generosamente regalato.

DOMENICA

Ad inaugurare l’ultima giornata della manifestazione è la giovane trombettista Jaimie Branch a capo di un quartetto con Jason Ajemianan basso, Lester St Louis al violoncello e Chad Taylor alla batteria.

La Branch conferma le positive impressioni ricavate dalle sue registrazioni discografiche, presentando un sound con ottimi momenti  di scrittura musicale. Con la sua tromba ci conduce in un percorso che attraversa le varie situazioni con freschezza ed intelligenza. Qualche momento di incertezza strumentale si avverte nella sua fase solistica (probabilmente complice anche l’emozione nel trovarsi a fronte a tanto pubblico): tutto lascia pensare che esistano per lei ampi margini di miglioramento, ma davvero c’è da rallegrarsi per una nuova generazione di valore che si presenta negli scenari internazionali del jazz.

A seguire Kuhn Fu, band simil/rock rubata alle sagre di paese, formazione che non merita nemmeno di essere messa sotto grassetto.

Torniamo alle cose serie, anzi serissime, con  ”Triple Double”, progetto del batterista Tomas Fujiwara.

La formazione è costruita su eccellenze musicali: Ralph Alessi  e Taylor Ho-Bynum alle trombe, Brandon Seabrook e Mary Halvorson alle chitarre, Tomas Fujiwara e Gerald Cleaver alle batterie. Tutto in duplice copia  per una musica di perfetta scrittura ed eseguita al massimo livello. Due fiati  di assoluto equilibrio, con Alessi sempre più puntuale nel  lirismo e Ho-Bynum impeccabile negli interventi. Due chitarre così innovative: dall’eclettico Seabrook estremamente  ricco di incursioni sonore assolutamente inserite nel tessuto generale, alla Mary Halvorson dal tocco personalissimo, chitarra fatta di suoni tanto eterodossi quanto discreti. Infine la sezione ritmica, con due batterie che invece di sfidarsi in ritmi contrapposti, suonano in piena e voluta condivisione del drumming, assicurando così un tappeto sonoro di grande solidità ma di altrettanta leggibilità.

La brava cantante francese Lella Martial  presenta le sue songs assieme al batterista Eric Perez ed al chitarrista Pierre Tereygeol. La voce è importante e perfettamente intonata, le arie sono dolci ed evocative, le esplosioni ritmiche misurate e ben calibrate.  La vocalist, cosa ormai comunea tanti artisti,  fa largo uso di campionamenti del proprio cantato in tempo reale, sovrapponendo spesso canoni vocali sui quali giocare ed ammaliare l’ascolto.

Il festival si chiude alla grande con “Artemisia”, progetto del quartetto del violoncellista Erik Friedlander. Con lui Mark Elias al basso, Uri Caine l pianoforte e Ches Smith alla batteria.

Il roster del gruppo è di grandi stelle, ma non sempre le qualità si sommano  tra loro algebricamente. Qui invece la fusione a caldo riesce clamorosamente. Un concerto in crescendo, che sempre di più ci trascina nel magico mondo poetico di Friedlander, fino ad arrivare alla commuovente Artemisia dal sapore quesi operistico che rimane un cammeo dell’intero festival. Il perfetto euilibrio del gruppo è garantito dalla maestria dei suoi componenti (solo Uri Caine ha mostrato a tratti una difficoltà nel fondersi nell’armonia generale). I temi si snodano con quella apparente semplicità costruita su di una perfetta lettura tecnico-creativa del saper fare musica.

Con Tomas Fujiwara e Erik Friedlander il Festival di Saalfelden ha ripreso a volare come nei tempi migliori.

Bilancio del Festival

a)      La manifestazione presenta un gran numero di artiste, non solo in veste di  leader come Nicole Mitchell, ma anche con  un nutrito gruppo di musiciste impegnate nei vari sets: l’altra metà del cielo   sempre più protagonista della cosa jazzistica

b)       La chitarra come strumento principe di questa edizione, molto dedicata a quel vortice creativo in bilico tra il jazz e il rock radicale che unisce suoni pur diversi tra loro come quelli di Marc Ribot e di Theo Ceccaldi.

c)       Molto presente anche la combinazione contrabbasso/violoncello.

d)      In ribasso l’esibizione tutta acustica,   sacrificata alle band ricche di strumentazioni elettroniche

e)      Uso esagerato delle luci da palcoscenico, sicuramente per captatio benevolentiae per un pubblico più largo ed ingenuo. A volte si eccede nell’effetto luna park da balera, oscurando nella luce la musica in sala.

f)       Varie ed eventuali: Tshirt del festival in ribasso e cattering in rialzo

g)      Considerazioni maliziose: confrontando il cartellone 2018 con quello degli anni scorsi, si nota una minor presenza dell’eccellenza musicale della scena internazionale: forse non solo in Italia é tempo di tagli