Bella, elegante e ricca di narrazione musicale: Claudia Quintet si conferma ai livelli massimi della scena jazzistica, alla faccia dei vent’anni sul groppone.

Il ritorno al Torrione Jazz club di Ferrara del Claudia Quintet conferma  tutte le  qualità del gruppo già evidenziate nelle apparizioni precedenti. La formazione, con vent’anni di collaborazione alle spalle, presenta un interplay senza smagliature, una musica oliata alla perfezione dove i musicisti si intendono a meraviglia. Anche l’innesto dell’ancia di Jeremy Viner, al posto di Chris Speed, non ha certo danneggiato il risultato finale: molto disciplinato alla partitura al clarinetto, ben più esplosivo e convincente negli assoli di sax, in particolare sul brano dedicato algrande batterista Philly Joe Jones.

Il “la” alle songs  arriva sempre da John Hollenbeck, batterista capace di scandire in modo millimetrico tutti i ritmi che costellano complessi le composizioni, con un susseguirsi di cambio di tempi che arricchisce davvero lo svolgersi del set. Il musicista ausraliano trascina la band in un sound fatto di tante atmosfere a confronto, e la band risponde assolutamnte all’altezza, a partire dall’ottimo vibrafonista Matt Moran dal tocco brillante, capace di sfruttare l’elemento “impressionistico” del suo strumento senza mai cadere nell’ovvio. L’impasto generale asume anche una vena malinconica con il timbro della fisarmonica di Red Wierenga, molto spesso all’unisono col clarinetto. Chiude l’invidiabile organico il basso di Adam Hopkins dalla cavata dolce e profonda. E’ lui a creare un intro ad effetto per una canzone lenta e struggente n cui il vibrafono di Moran vola costruendo dei veri e propri sospiri musicali.

Un sound leggibile ma al contempo complesso, un rapporto scrittura/assoli assolutamente calibrato, un esecuzione di prima qualità: ecco la difficile ricetta per questo concerto davvero costruito per palati fini.

Ascolta un brano tratto dal concerto di Ferrara 


I Crossroads di Steve Lehman al Bologna Jazz Festival

recensione del concerto di Steve Lehman & Sélébéyone all’Unipol Auditorium del 30 ottobre

L’Unipol Auditorium accoglie uno dei nomi più in vista della scena attuale del jazz: Steve Lehman, contraltista che ha attirato l’attenzione di pubblica e critica prima con un cd in ottetto meritevoei di mille premi iinternazionali e poi in trio, combinazione  che ha palesato tutte le notevolissime qualità solistiche del saxofonista. 
Oggi Lehman si è presentato con il suo nuovo progetto, un mixage di   grammatica jazzistica  e cadenza rap.
A tal fine si costruisce un sound basato su due voci rapper, quella in slang afroamericana(Hprizm) e quella in dialetto del Senegal (Gaston Bandimic). Un incrocio nell’incrocio, dove una via del jazz incontra quella delle dirty dozens e quella nord americana  quella dell’Africa.  Completano “l’heavy beat” rapper la ritmica di Drew Gress al basso e Jacob Richards alla batteria. A completare la combo le tastiere di Carlos Homs e il sax (bravo al soprano) di Maciek Lasserre.
La strada che unisce il ghetto di New York e la classicità del jazz è una via già battuta da altri campioni delle blue notes, in primis quello Steve Coleman della Mbase Music.
La peculiarità allora di questa intuizione  lehmaniana sta nel linguaggio del sax così ancora fortemente legato al coolal cosppetto di un  contesto popular che gli si muove intorno. L’eleganza di Lehman non teme di confrontarsi con l’esuberanza generale, in realtà sfruttando questa differenza di impatto per far risaltare una lucidità di improvvisazione,  immergendosi nei ritmi della band ed emergendo con la qualità del suono. Bene anche i  due vocalist che non risultano particolarmente invasivi nel sound complessivo, ma svolgono efficacemente il  loro ruolo senza offuscare lo snodo della narrazione musicale.
Non dunque un rap educato, quanto un’educazione del jazz a nuove sonorità.
Non sappiamo se dopo questa scorreria in altre praterie sonore Steve Lehman tornerà su passi più legati alla tradizione, certo oggi possiamo apprezzare la duttilità di un artista che sa confrontarsi con l’altro da se’ senza perdere la propria identità.

Bassdrumbone e la semplicità di fare un ottimo jazz

recensione del concerto Bassdrumbone, Ferrara 28 ottobre 2017

Il Torrione Jazz Club di Ferrara apre i concerti in collaborazione col Bologna Jazz Festivalcol il collaudatissimo trio di Ray Anderson/Mark Helias/Gerry Hemingway. Quarant’anni di militanza al massimo livello nella scena dell’avant garde di New York non sono certo passati invano e tutta una storia musicale si sintetizza con grande semplicità nel Bassdrumbone. Infatti i tre musicisti ormai si conoscono come le loro tasche e questo rende l’inter play della formazione quasi ovvio, se non fosse che per raggiungere questo standart sonoro è necessaria grande capacità tecnica ed altrettanta intelligenza creativa. In fondo il trio è un po’ come quelle vecchie coppie che ormai dalla vita non si aspettano più sconvolgenti novità sentimentali, ma che sanno assaporare la convivenza godendosi fino in fondo un sereno presente.

Detta in parole più proprie “La natura fusa delle tre parole è molto più che una scintigrafica sintattica: rappresenta una vera e propria fusione di idee, spesso un mix fuso di lirismo, di eleganza spettacolare e di vocifero invenzione che non mostra solo virtuosità individuale ma un vero e proprio rientro per il cambiamento “. Raul da Gama – JazzdeGama (4 gennaio 2017).

Naturalmente Ray Anderson al trombone sfrutta tutte le possibilità sonore del suo strumento, cosa che da fin dai tempi della sua antica militanza con Anthony Braxton ha caratterizzato il suo performing: la pienezza delle note, spesso rese più growl dall’uso della sordina, si intrecciano con il lirismo delle linee melodiche dei suoi assoli.

La cavata potente di Mark Helias sorregge la struttura del trio, facendo comunque da contrappunto al trombone riempiendo l’aere sonoro. La secca batteria d Gerry Hemingwaycompleta il discorso generale con acccenti ritmici che vanno da reminiscenze alla New Orleans ad un pulsare blues, da coloriture free ad un beat rockeggiante.

Il Torrione Jazz Club di Ferrara ha deciso di dedicarsi in questo BJF alla scena down townnewyorkese: questo primo concerto dei Bassdrumbone ha ben illuminato un modo di vivere e suonare la Grande Mela.