Sebbene quella all’interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione sia una detenzione amministrativa, sono in molti ad avervi trovato la morte. Lo racconta l’inchiesta “Morti di Cie” che verrà presentata questa sera a Vag 61. Gli autori: “Quelle strutture non hanno proprio nulla di diverso dalle leggi razziali”.

Morti di Cie: incontro al Vag 61

Spesso non hanno commesso alcun reato, ma sono migranti e sono sprovvisti di permesso di soggiorno: ragione che allo Stato italiano basta per rinchiuderli in una vera e propria prigione. Troppo spesso, dentro ai Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie) e prima dentro i Centri di Permanenza Temporanea (Cpt) trovano la morte.
Ora un’inchiesta autonoma e indipendente vuole raccontare e analizzare ogni singolo caso di decesso all’interno delle strutture di detenzione per migranti irregolari dal 1998 ad oggi. Si intitola “Morti di Cie – Storie di Ordinaria Detenzione Amministrativa” e verrà presentata questa sera a Vag61, all’interno della rassegna “Break the Wall“.

L’intenzione, spiegano gli autori dell’inchiesta, è quella di andare a conoscere e raccontare nel dettaglio, attraverso lo studio dei documenti e le testimonianze dirette di chi ha conosciuto e vissuto quei momenti, i casi di decesso all’interno dei Cpt e dei Cie. Non per sostituirsi alle Procure, ma per entrare nei dettagli dei fatti, studiando i documenti per raccontarli, cercando di capire i perché e le cause dei decessi, ma soprattutto raccontando come lo Stato, attraverso i giudici ed i Pubblici Ministeri, si è pronunciato a seguito di questi episodi.
E fino a questo momento lo Stato non ha voluto collaborare. “Procure e Prefetture ci hanno negato l’accesso agli atti – spiega i nostri microfoni Nicholas, uno degli autori – ma presto ritenteremo grazie all’aiuto dei nostri legali”.

Sono una ventina i decessi di cui l’inchiesta si è potuta occupare fino a questo momento, avvenuti nei lager per migranti sparsi per lo stivale, tra cui quello di Bologna (chiuso pochi anni fa) e quello di Modena. Casi presi in esame da un gruppo di studiosi, esperti di immigrazione, sociologi, antropologi, grafici, fotografi e videomakers.
“Il nostro scopo – spiega Nicholas – non è quello di arrivare a ciascun responsabile, perché non siamo giustizialisti. Il punto è che un Paese che si dice civile e democratico consente la detenzione amministrativa in queste strutture e ciò non ha nulla di diverso dalle vecchie leggi razziali, se non il fatto che queste strutture esistono in tutto il mondo, mentre le leggi razziali insistevano su un territorio più circoscritto”.

Il progetto, proprio per restare indipendente, è sostenibile attraverso una donazione sul sito www.mortidicie.org