Si è concluso con un nulla di fatto sul tema migranti il vertice europeo, svoltosi ieri ed oggi a Bruxelles. L’unico accordo è quello con il Niger: 610 milioni di euro con la richiesta di contenere i flussi migratori. Ong e realtà della rete Concord Italia avevano lanciato appelli per chiedere diverse politiche migratorie.

Accordo UE-Niger, per ora nulla di fatto

L’Europa risulta ancora divisa sulla questione dei migranti. Troppo diverse risultano le posizioni tra i 28 e tutto rinviato ai prossimi mesi, ancora una volta. “Dai costanti sforzi profusi nei mesi scorsi ai fini della revisione del sistema europeo comune di asilo sono emerse alcune aree di convergenza, mentre in altre si rende necessario proseguire i lavori”, si legge nelle conclusioni approvate dai leader. In altre parole la questione è rimandata al prossimo semestre, che sarà presieduto da Malta.

I provvedimenti degli ultimi mesi parlano di un Europa che prova ancora una volta a gestire la situazione con i trattati bilaterali, come quello firmato col Niger, a cui andranno 610 milioni di euro dall’Europa, con la richiesta di trattenere i flussi di migranti. “Bisogna cercare di dare risposte in maniera razionale – afferma Francesco Petrelli, responsabile Relazioni Istituzionali per Oxfam Italia – Non si può fermare la mobilità umana, che è un esigenza storicamente determinata e dimostrabile, con pressioni o con il proporre ai paesi africani condizioni negative”

Le migrazioni devono essere viste come un fattore positivo – sostiene Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di Action Aid Italia – bisogna garantire che siano un fenomeno con il quale riusciamo a convivere”. Va quindi sottolineato che questi spostamenti da un paese all’altro sono il frutto di vere e proprie esigenze.

Le due organizzazioni umanitarie fanno parte della rete Concord Italia, che ha evidenziato, ad esempio, le criticità dell’accordo stipulato tra Unione Europea e Afghanistan per accelerare le procedure di riammissione ed i ritorni forzati di cittadini afghani. Il testo ha gravi difetti, il più evidente dei quali è che l’Afghanistan non è un paese sicuro: vaste aree di questo Paese sono ancora sotto il controllo dei talebani, quasi tutte le province sono teatro di scontri armati e ci sono circa un milione di sfollati interni.

È proprio di questi accordi che si parla nel documento del nuovo quadro di partenariato dell’Unione Europea con i Paesi terzi, ma per molti non sembra essere la soluzione adatta. “Bisogna capire che tipo di cose ha senso fare per governare il fenomeno – spiega Petrelli – Noi ne proponiamo alcune: non solo maggiore solidarietà tra gli Stati membri, ma anche fare degli accordi equi tra i Paesi d’origine e di transito con i paesi europei. È possibile anche istituire canali sicuri per regolare i migranti che vengono in Europa”.

Un esempio di corridoi umanitari sicuri viene proprio dal nostro Paese. In Italia 1000 profughi siriani vennero salvati grazie ad un corridoio realizzato dalle organizzazioni religiose della società civile in accordo con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. “Sono necessari canali di accesso sicuri – sottolinea Francesco Petrelli – che non li costringano a mettersi in mare alla merce dei trafficanti di esseri umani, che sono la prima causa dei 5000 morti che solo nel 2016 sembrano esserci stati nel mediterraneo”.

“L’Europa dovrebbe assumersi le proprie responsabilità – continua Petrelli – e fare valere i principi ed i valori che dice di riconoscere, da questo punto di vista, l’accordo Ue-Turchia non è un buon esempio”. Proprio l’accordo è oggetto di valutazione in questi giorni e, secondo le organizzazioni firmatarie dell’appello, ha fallito non solo come misura preventiva considerando il numero dei morti nel Mediterraneo, ma ha prodotto fenomeni come i 16mila migranti bloccati nelle isole greche.

“Ci sono almeno due aspetti che vanno presi in considerazione – osserva De Fraia – Noi contestiamo  che si usi la cooperazione allo sviluppo per imporre politiche di controllo dei flussi migratori. Le politiche di cooperazione devono avere come finalità lo sviluppo dei Paesi, con le loro priorità”.
È proprio questo il secondo aspetto che secondo De Fraia va preso in considerazione “anche recentemente – sostiene – le Nazioni Unite hanno preso una posizione molto chiara: le migrazioni possono essere un fattore positivo di sviluppo quindi trattare questo fenomeno con la lente della sicurezza è sicuramente un danno a lungo periodo”.

“In questo momento – fa eco Petrelli – ci sarebbe bisogno di imporre a tutti i membri dell’Ue le decisioni che sono state prese. Nel settembre 2015 il Consiglio europeo a maggioranza decise criteri per la ridistribuzione dei migranti con numeri ponderati alla popolazione di ogni Paese, ma a questa decisione non sono seguiti atti coerenti perché alcuni paesi si sono rifiutati”.
Il superamento del regolamento di Dublino, dunque, sarebbe necessario, perché rischia di essere una sorta di auto-impedimento a governare flussi a livello Europeo. Questo avviene proprio perché il migrante una volta giunto nel paese di approdo è costretto a restarci.

Alessia Lizzadro