Non si ferma il cammino di chi fugge per raggiungere i Paesi del centro-nord Europa. Berlino annuncia lo stanziamento di 6 miliardi di euro per l’accoglienza, mentre sarebbe pronto il piano europeo per la collocazione di circa 120mila rifugiati. Continuano le manifestazioni xenofobe. Ma dalla Germania all’Austria, fino alla manifestazione di ieri a Bologna, la risposta ‘dal basso’ è di tutt’altro tenore. La testimonianza di Làbas, dal confine tra Ungheria e Serbia.

Quale accoglienza in Europa?

Mentre in Europa (Italia compresa) la polemica sui migranti in arrivo dalla frontiera sudorientale continua a tenere banco, qualcosa di più delle chiacchiere sembra essersi mosso. Fonti tedesche riferiscono infatti di uno stanziamento da 6 miliardi di euro da parte del governo di Angela Merkel per sostenere i land tedeschi nell’accoglienza dei migranti in arrivo. 3 miliardi sarebbero pronti immediatamente.

Ma è soprattutto l’annuncio di un accordo europeo sulla ricollocazione dei migranti giunti in Italia, Grecia e Ungheria a dare il segno che qualcosa potrebbe essersi sbloccato anche a Bruxelles. A quale prezzo ce lo hanno mostrato le immagini dei migranti morti nel Mediterraneo, asfissiati nei camion o bloccati a migliaia in Ungheria. L’Unione Europea proverà a distribuire oltre la metà dei 120mila rifugiati presenti nei tre Paesi tra Germania (31mila circa), Francia (24mila) e Spagna (14mila).
“Il piano europeo ci segnala due cose – commenta Giorgio Grappi del Coordinamento Migranti – La prima è che l’Europa non è immobile, cambieranno molte cose da qui in avanti. La seconda, però, è che questa mobilità dell’Europa non è di per sè positiva. Questo programma di redistribuzione io lo considero già dall’inizio destinato a fallire per il semplice motivo che ancora una volta considera i migranti come dei numeri da spartirsi. Quello che invece abbiamo visto in questi mesi è la forza assoluta di questo movimento di migranti, che sono disposti a qualsiasi cosa per andare laddove hanno deciso di andare”.

Da Budapest, intanto, il presidente ungherese Viktor Orbàn invoca la chiusura delle frontiere europee se non si vuole rischiare “l’arrivo di milioni di migranti” e invia migliaia di militari al confine con la Serbia. In Italia continuano a tenere banco le invettive xenofobe di Salvini, che questa mattina ha dato del ‘verme’ al premier Renzi, accusandolo di utilizzare la questione migranti a fini elettorali.
Neanche in Germania è tutto oro ciò che luccica. La cancelliera Angela Merkel ha infatti già chiarito che la permanenza in territorio tedesco sarà garantita solo ai rifugiati, mentre i migranti ‘comuni’ o ‘economici’ non godranno della stessa tutela. Si ripropone, dunque, una distinzione che in molti considerano pericolosa e discriminatoria, l’ennesimo meccanismo per stabilire chi può varcare i confini e chi no. “Sarebbe utile pensare a quello che stiamo vedendo – continua Grappi – Capendo che al centro della scena non abbiamo i confini, la repressione, il razzismo e la xenofobia. Al centro della scena è ora di mettere i migranti e le migranti, che sono i protagonisti assoluti di quanto sta accadendo. Assumere la centralità della mobilità come una delle questioni politiche fondamentali del nostro tempo, anche a livello europeo, è un po’ la responsabilità che questi movimenti ci stanno consegnando”.

Diversamente da quanto ha fatto lo spettacolino delle politiche nazionali ed europea, la risposta dei cittadini e delle raltà autorganizzate ha però mostrato il volto di un continente diverso. Dal presidio di Ventimiglia a quanti hanno fatto la spola tra l’Ungheria e l’Austria, trasportando i migranti fino a Vienna, passando per l’accoglienza dimostrata nelle stazioni tedesche e per la manifestazione No Borders di ieri sotto le due torri, a manifestarsi è stato un fiume di solidarietà e complicità.

Testimoni diretti di quanto sta avvenendo ad uno dei confini d’Europa sono Detjon, Francesca e Stefano, tre attivisti del colletivo Làbas partiti da Bologna per raggiungere Vienna, e da lì l’Ungheria – fino al confine con la Serbia – teatro in queste settimane del viaggio di migliaia di rifugiati che tentano in ogni modo di raggiungere il cuore dell’Europa. “A Budapest ora la situazione è abbastanza normalizzata – racconta Stefano Caselli – ma non so quanto potrà durare perché al confine serbo arriva un flusso continuo di profughi“. I tre ragazzi di Làbas sono arrivati nelle scorse ore al confine con la Serbia, che come spiega Stefano è “disseminato di vari campi profughi che vengono ora smantellati per concentrare le persone in un solo campo, teatro di scontri con la polizia nelle scorse settimane. I siriani vengono fatti passare tranquillamente, mentre afghani e pakistani vengono trattenuti nei campi”.

Prima ancora, gli attivisti hanno preso parte alla carovana #RefugeeConvoy per portare aiuto e assistenza ai profughi ammassati da giorni alla stazione di Budapest, in cerca di un lasciapassare per Vienna e poi per la Germania. In migliaia si sono messi in viaggio a piedi verso il confine. “Abbiamo conosciuto attivisti di varie associazioni austriache che insieme a una grossa fetta di società civile ha deciso di violare i divieti del governo austriaco – racconta Caselli – e siamo andati incontro a tante persone che ancora viaggiavano a piedi per raccoglierle con le nostre macchine e portarle alla frontiera”.

Caselli si sofferma poi sulle difficoltà e i ricatti con cui si trovano a fare i conti i profughi che tentano in tutta fretta di attraversare le frontiera, prima che si chiuda di nuovo: “Oggi abbiamo incontrato una famiglia siriana con figli piccoli, di cui uno in stampelle. Si stavano mettendo in contatto con veri e propri trafficanti che gli chiedevano 100 euro per portarli in macchina fino a Budapest. Una volta arrivato questo “taxi” la richiesta è salita a 200 euro e l’accordo è saltato, e ora stiamo cercando di aiutarli”.