Il giovane autore Salvo Ognibene presenta a Bologna il suo primo libro, “L’eucaristia mafiosa” (Navarra Editore), che indaga due mondi, mafia e chiesa, non così opposti come sembra.

Un filo rosso scarlatto, come quello delle tonache dei cardinali di San Pietro, collega due mondi che per decenni sono sempre sembrati agli antipodi, ma che oggi si riscoprono più vicini. Da una parte la mafia, quella montagna di merda, definita così da Peppino Impastato, e dall’altra la Chiesa, quella con la “C” maiuscola denominata dall’ultimo Sinodo come la “Casa di tutti dove c’è posto per ciascuno”. Ma proprio per tutti? “Sì, per alcuni soprattutto”. La risposta arriva da una tesi di laurea, che poi è diventata un libro, “L’eucaristia mafiosa”, di Salvo Ognibene. Un ragazzo siciliano che domani (giovedì 22 gennaio) presenterà il suo lavoro a Bologna: alle 17.30 in via Zamboni 38 e alle 20.45 alla parrocchia S.Maria della Misericordia in piazza di Porta Castiglione.         

“Il rapporto tra mafia e chiesa è stato caratterizzato per lungo tempo da silenzi, mancate condanne, e nei peggiori casi da false testimonianze. Un percorso interrotto a tratti da rari moniti di alti prelati, dall’impegno di pochi ecclesiastici e da alcune tristi morti, come quelle di padre Pino Puglisi e di don Peppe Diana” spiega così Salvo Ognibene, laureato in legge all’Università di Bologna. Qui ha fondato insieme ad altri giovani il sito d’informazione online Dieci e Venticinque, dove la mafia viene denunciata sempre in primo piano da Nord a Sud perché la criminalità organizzata non conosce latitudini.  

Salvo, attraverso la sua ricerca che lo ha visto impegnato per alcuni anni, indaga i rapporti, sia in termini sociologici e di diritto, che si sono interconnessi tra chiesa e mafia dal secondo dopoguerra ad oggi. Da quel famoso 30 giugno 1963 quando avvenne la strage di Ciaculli che costò la vita a sette uomini dello Stato: fu infatti proprio da quel momento, scrive l’autore, che l’attività pastorale della Chiesa, tra silenzi e ipocrisia, iniziò ad avere come argomento la mafia, una piaga così dolorosa che oggi è presente in ogni tessuto della società italiana.                                   

“In questi cinquantuno anni c’è la storia della mafia che conosciamo oggi. Ci sono i legami con la politica, la tanto delegittimata trattativa stato-mafia, le stragi. Ma anche i rapporti con la Chiesa. Una Chiesa che è intervenuta sul tema, spesso con l’esposizione di singoli uomini e quasi mai con un’azione corale. Una storia che dura da decenni e che è stata interrotta da rari moniti di alti prelati e dall’impegno di pochi ecclesiastici” continua Salvo. Un giovane autore che però non si è voluto arrendere alla realtà dei fatti, e alla frase di sfida di Pippo Fava, “Noi siciliani siamo tutti mafiosi. Dentro abbiamo una sorta di bestia”, e si è imbarcato in un viaggio che lo ha trascinato in tutta Italia alla ricerca di testimonianze, anche da parte di sacerdoti e prelati che la mafia l’hanno sempre combattuta.     

Da Monsignor Pennisi, a Don Giacomo Ribaudo, a Monsignor Silvagni, a Don Giacomo Panizza a Don Pino Strangio a Suor Carolina Iavazzo. Protagonisti di un’altra Chiesa che hanno fatto della loro fede uno strumento di lotta, ma che ancora non basta: “Fu Wojtyla il primo papa a condannare nel ‘93 il fenomeno mafioso, con toni forti e decisi – spiega Ognibene -. Dopo il suo monito però non abbiamo più avuto prese di posizione dello stesso impatto. Nel mezzo ci sono vuoti da riempire ed una scomunica che non è mai arrivata. Si è permesso ai mafiosi di tutte le razze di crearsi un Dio ad hoc, un Dio dei mafiosi, uguale (almeno nelle forme) a quello venerato e glorificato dai cattolici di tutto il mondo”.   

Nel corso della storia italiana la Chiesa cattolica non si è infatti mai espressa chiaramente contro l’operato delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, che ancora oggi si definiscono cristiane e arrivano ad ammazzare e a credere in Dio allo stesso tempo. Ed è proprio per questo che Salvo Ognibene, attraverso il suo libro, punta a stimolare quanto meno un dibattito sulla necessità di elaborare al più presto un documento nazionale. Un testo che affronti il tema una volta e per tutte, che tenga fuori i mafiosi e il loro circuito di potere da una Chiesa disposta a rinnovare le proprie strutture, ponendo la trasparenza e la verità come basi da cui partire, prendendo come esempio la vita di don Pino Puglisi e la sua beatificazione.

Francesca Candioli