Oltre alle posizioni “barricadere” di Orlando e De Magistris contro la legge Salvini, si fa strada fra alcuni sindaci una linea più moderata, che vorrebbe una concertazione dell’Anci col governo. Il tema, però, è quello dei diritti fondamentali, che non possono essere frutto di accordi tra le forze in campo. La norma attuale, insieme ad ampie parti della legge Minniti, va semplicemente cancellata.

L’inedita rivolta di alcuni sindaci – il palermitano Leoluca Orlando in testa – contro la legge Salvini su immigrazione e sicurezza rappresenta una possibile svolta della lotta politica contro l’inumanità, a forte dubbio di costituzionalità, dei provvedimenti del governo giallobruno.
Per quanto riguarda l’accoglienza sono sostanzialmente quattro i punti della legge che vengono contestati: la cancellazione dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, cui sono connessi diritti fondamentali come l’assistenza sanitaria e la possibilità di trovare lavoro; la cancellazione della protezione umanitaria; lo smantellamento dello Sprar, il sistema diffuso di accoglienza, con l’espulsione (per strada) anche di chi è già titolare della protezione umanitaria; il taglio dei fondi, con conseguente cancellazione di servizi, quali l’alfabetizzazione e l’assistenza legale.

In questa battaglia molto dipenderà da quanto i primi cittadini “ribelli” saranno disposti ad andare fino in fondo e quanto, invece, le dichiarazioni sulla non applicazione della legge rimarranno solo una (pur legittima) presa di posizione politica, funzionale ad aprire un dibattito.
In molti, infatti, hanno sottolineato quali potrebbero essere le grane amministrative e giudiziarie per i sindaci, alle quali bisogna aggiungere eventuali ritorsioni indirette che lo Stato in generale, e il Viminale in particolare, possono mettere in campo.

Accanto alle posizioni più barricadere, però, si fanno strada anche altre opzioni, più moderate e caute, forse addirittura pavide. Sono state ribatezzate “la terza via” di alcuni sindaci, soprattutto del Partito Democratico, che non sembrano abbracciare lo scontro diretto con il governo, ma individuano soluzioni oblique e alternative.
Una di queste è quella rappresentata dal primo cittadino di Bologna, Virginio Merola, che ha dichiarato di voler sopperire al taglio ai fondi (e ai servizi) del Viminale con fondi comunali.

Altri amministratori, invece, hanno manifestato un timido fastidio verso la norma del governo, nascondendosi però dentro il dogmatico paravento della legalità, riassumibile in un ipocrita “la legge non ci piace, ma va comunque rispettata”. Gli esempi che confutano questa asserzione sono numerosi. Basti ricordare com’è stato tradito il referendum del giugno 2011 sull’acqua pubblica, dove i cittadini hanno abrogato col voto la remunerazione del capitale dalle bollette dell’acqua, ma la politica ha reintrodotto i profitti dei privati semplicemente attraverso un cambio di nomenclatura: “oneri finanziari”. Oppure come la stessa politica abbia disinnescato il referendum sui voucher, facendo finta di abrogarli, per poi reintrodurli pochi giorni dopo.
O ancora, per restare al tema dell’immigrazione, come le prescrizioni di legge venivano disattese dagli uffici comunali e dalle questure, con prassi assolutamente illegittime e richieste di documentazione aggiuntiva rispetto a quanto richiesto dalla legge stessa.

Vi è poi la posizione del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e di altri colleghi, che contano di ricondurre la contesa all’interno di una trattativa tra l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e l’esecutivo. Su questo versante, in particolare, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha mostrato aperture, rendendosi disponibile a parlare coi sindaci.
Questa ipotesi, nello specifico, non è esente da insidie, dal momento che il tema in discussione non è il taglio di questo o quel fondo, l’autorizzazione ministeriale di questa o quell’opera pubblica.
L’oggetto del confronto è il rispetto dei diritti umani e il principio di non discriminazione, sancito dalla Costituzione all’articolo 3. Difficile immaginare che temi così dirimenti e fondamentali possano essere oggetto di una concertazione tra governo ed enti locali.
Qualora l’Anci si sedesse a mediare, quali sarebbero gli elementi su cui sarebbe disposta a cedere? Il diritto alla salute? L’alfabetizzazione? Le forme dell’accoglienza?

Le legge Salvini e molte misure di quella precedente, la legge Minniti-Orlando, vanno semplicemente abrogate per ripristinare nella gestione migratoria, così come in altri ambiti, una corretta adesione ai dettami costituzionali.
Se così non fosse si creerebbe un pericoloso precedente: i diritti fondamentali non sarebbero più universalmente dovuti, ma sarebbero vincolati agli orientamenti politici e alla mediazione tra le forze in campo. I moderati di centrosinistra o centrodestra si rendano conto che il vecchio metodo democristiano e socialdemocratico, in questa circostanza, non può funzionare.