Le “liti di famiglia” non si concludono con un bambino di 7 anni ammazzato di botte e una bambina di 8 ricoverata in ospedale. Così come gli uomini che agiscono questa violenza non erano “tanto dei bravi ragazzi”. Eppure, ancora oggi sono questi i termini associati all’assassinio di un bambino avvenuto probabilmente per mano del patrigno questa domenica. Per provare ad uscire da questa retorica, ma anche per parlare di violenza sui minori e di come intervenire, ci siamo rivolti ad Angela Romanin della Casa delle donne di Bologna.

Violenza Domestica: due nuovi casi nel bolognese

È successo questa domenica che a Cardito, nel napoletano, un bambino di 7 anni fosse picchiato a morte dal compagno della madre. A contribuire alla ricostruzione è stata la testimonianza della sorella, di 8 anni, anche lei vittima della violenza del patrigno e ora ricoverata in ospedale. Non si tratta di una “lite di famiglia” finita male, una frase che ieri è stata ripetuta molte volte, né di un raptus o di un momento di follia. Si tratta di un fenomeno strutturale nella nostra società, quello della violenza, e proprio perché è strutturale è necessario riconoscerlo e indagarlo, per poi riuscire ad intervenire. Per riconoscerlo però è necessario, appunto, che si parta dalla narrazione. “Come al solito la notizia viene data con i commenti dei vicini per cui è tutto una brava famiglia, eccetera eccetera, e lui era meraviglioso – esordisce infatti Angela Romanin della Casa delle donne per non subire violenza di BolognaQuesti giudizi così, un po’ a prescindere, potrebbero essere risparmiati, perché vanno tutti nel senso di far pensare che sia un atto disperato, improvviso, un raptus. Mentre ho visto che invece un vicino è intervenuto dicendo che aveva già notato un pestaggio del bambino più grande da parte del patrigno appunto, per strada. Forse se l’intervento del vicino fosse stato anche nel senso di fare una segnalazione alla polizia la cosa sarebbe emersa rima che sfociasse in un omicidio vero e proprio del bambino”.

Se infatti è necessario che la violenza sia narrata e riconosciuta, ancora di più lo è che chi testimonia un atto di violenza intervenga in qualche modo, per quanto farlo non sia facile né scontato. “È molto facile che chi assiste sia impaurito dalla violenza – spiega Romanin – e in questo caso conviene chiamare direttamente e tempestivamente le forze dell’ordine. Ma se non è così e la persona se la sente è importante fermare quello che sta accadendo. È importante prendere posizione a favore della donna se viene aggredita una donna in strada, a maggior ragione di un bambino che ha molte più difficoltà in una situazione del genere. Anche quando vediamo i bambini picchiati dai genitori ai giardini, a me è capitato tante volte, dire che così non va bene, che non si possono picchiare i bambini, prendere posizione di fronte all’adulto che compie un gesto veramente inappropriato, violento, negativo per lo sviluppo psicofisico del bambino diventa una cosa fondamentale da fare. In modo che sia chiaro a tutti che la violenza non è permessa, non va bene, e non ritirarsi dicendo beh non voglio intromettermi, sono affari loro, chissà che cosa ha fatto il bambino, chissà che cosa avrà fatto quella donna e così via”.

E partendo dalla violenza subita direttamente, in questo caso, dal bambino e dalla sorella, l’operatrice della Casa delle donne chiama in causa anche un altro tipo di violenza, molto meno riconosciuta e meno perseguita e considerata anche a livello legale. Si tratta della violenza assistita, ovvero di quella violenza di genere esercitata all’interno delle mura di casa o comunque su qualcuno di vicino ai minori e da loro osservata, anche se non subita direttamente. “Al di là della violenza fisica diretta contro di loro in ogni caso la violenza assistita dai bambini nei confronti della madre provoca dei danni nella personalità e nell’evoluzione del bambino veramente gravissimi. E spesso di questo non si tiene in conto lasciando che sia la madre ad assumersi la responsabilità di far cessare la violenza. Quando invece è un dovere di tutti. Tutti a cominciare dal cittadino che ha visto il pestaggio in strada di questo bambino. Tutti quanti abbiamo il dovere di intervenire. Intervenire in quel caso separando quest’uomo da questo bambino che veniva preso a calci io non so se è stato fatto ecco, però è un segnale importante e forte che tutti dovremmo dare”.

Sul fronte legale e giuridico, infine, l’ex vicepresidente della Casa distingue tra le leggi e il codice penale che effettivamente tutelano i minori, e la loro applicazione, spesso disattesa, per esempio nel caso della violenza assistita che viene spesso sottostimata. Resta, certo, una situazione preferibile a quella cui si andrebbe incontro nel caso in cui il Ddl Pillon venisse approvato in Parlamento. “Se per caso dovesse essere legge – conclude infatti Romanin – sarà un vero disastro perché i minori saranno ancora meno tutelati, perché non ci sarà più modo di regolamentare i rapporti del padre violento contro i bambini, per cui questa esposizione che già adesso a fatica si cerca di limitare sostenendo il bambino e la madre nel loro diritto di chiedere aiuto e di protezione, se entrasse in vigore il Ddl Pillon sarebbe completamente vanificato. Torneremmo indietro a prima del 1975 quando è entrato in vigore il nuovo diritto di famiglia. Arriveremmo a legittimare il fatto che il padre, il capofamiglia ha il diritto di correggere la moglie e i figli, correggere nel senso di picchiare con la frusta”.

Per approfondimenti sul tema del Ddl Pillon, ne abbiamo già parlato qui, qui e soprattutto qui

ASCOLTA LE PAROLE DI ANGELA ROMANIN: