Ascanio Celestini con Laika  torna alla genialità  dei suoi primi testi teatrali che lo hanno reso celebre come attore-narratore di storie di lavoro e di marginalità, storie di gente comune che diventano eroi, quasi santi, dimostrandosi semplicemente solidali con altri diseredati come loro.

Ascanio Celestini convince con Laika, un testo perfettamente circolare che porta gli spettatori a compiere un viaggio alla scoperta di personaggi marginali: un barbone finito per strada perché  licenziato dal supermercato davanti al quale  chiede l’elemosina, i facchini del supermercato in sciopero, una donna “impicciata” in infinite problematiche familiari e con l’alzheimer, una vecchia ormai totalmente smemorata, una puttana che voleva fare la suora, un ubriaco di sanbuca che si finge cieco per farsi offrire da bere.

Tutti i personaggi vengono osservati da una finestra di un condominio dal narratore, un Gesù tutto umano pieno di affetto per quegli uomuni e donne che si arrabattano per campare, e dal suo coinquilino Pietro che fa la spesa al supermercato e fa lavoretti per i vicini per sbarcare il lunario. 

La vecchia, la puttana, la donna impicciata e l’ubbriaco, sono i vicini di casa del narratore e di Pietro e tutti interagiscono con gli altri disperati di questo mondo di periferia che stanno fuori dal palazzo avendo anche il coraggio di accorrere, di notte, in difesa del barbone, picchiato dalle guardie.

Questa umanità di poveri, malati, dimenticati dal resto del mondo si dimostra capace di solidarietà con i facchini neri sfruttati dal padrone del supermercato e con l’ex facchino  nero scappato dal proprio paese e diventato un barbone, e si scopre  altrettanto vittima di un sistema che sfrutta tutti: uomini, donne, cani se utili ai propri scopi, ai profitti, a interessi che passano sopra le loro teste, come la cagnetta Laika, mandata nello spazio nel 1957 con lo Sputnik 2 dai russi per i primi esperimenti in orbita con esseri viventi, scelta perché  cane di strada e quindi più  forte dei cagnetti di razza, buoni solo a zampettare su divani costosi. 

Celestini ha costruito un testo che funziona nella sua semplicità  circolare e diverte per le battute fulminanti che arrivano in mezzo al fiume incessante di parole che tessono il racconto, puntellato solo da lievi melodie alla fisarmonica e intervallato qui e là dalla voce di Alba  Rohrwacher.

Per quanto minimalista sia il teatro di narrazione, un testo ben costruito e su temi forti come la povertà, il disagio sociale, l’abbandono  degli anziani, l’emigrazione, arriva ad una grande platea di un teatro stabile e si guadagna diritto di cittadinanza all’interno di una stagione teatrale.

Celestini dimostra al pubblico che si può  fare teatro anche con una tenda rossa, qualche lampada e una scenografia fatta di cassette da ortofrutta tenendo il pubblico appeso al filo della narrazione senza effetti speciali e iper tecnologici, solo storie da raccontare e da ascoltare.