Pippo Delbono porta in scena uno spettacolo quanto mai “opera aperta”,  in cui la compagnia lancia suggestioni, frammenti di storie, crea immagini e atmosfere, nessun significato pecostituito da capire, nessun intellettualismo: un teatro vivo che si nutre del contributo dello spettatore chiamato a completarlo riempiendone i “buchi neri”.

Produzione ERT  della Compagnia Pippo Delbono in coproduzione con Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge Scène Nationale, “La Gioia“, in prima assoluta a Bologna, porta sul
palco dell’Arena uno spettacolo che va gustato senza paragoni con tutto il teatro visto in precedenza, come un flusso di coscienza, come visioni di sogno a cui assistiamo senza giudizio, assaporandone il piacere.

Delbono avverte il pubblico di essere chiamato a fare da cavia di una messa in scena ancora in fieri, piena di buchi neri che nel corso della tournée si andranno colmando. Il pubblico risponde, una signora dalla prima fila entra nello spettacolo e commenta, Delbono raccoglie e rilancia “quello che mi interessa è un teatro vivo, non un teatro morto che rinsalda nelle proprie conoscenze”.

Lo spettacolo è un cammino per la gioia, un insieme di storielle, aneddoti sui componenti stessi della compagnia, di citazioni e poesie che insieme costruiscno una possibile mappa per trovare la gioia nelle pieghe delle nostre giornate, nel cammino della vita.

Delbono parla sommessamente in un microfono a gelato cullando il pubblico, tenendolo in uno stato tra la veglia e il sogno, un sogno che popola di caroselli di figure inquietanti: la morte, la dama bianca con parrucca di fuoco e sigaretta, uno spettro indemoniato che danza su luci stroboscopiche, clown tristi, tutti riuniti in una Danza Macabra.

Il Regista è attore in scena e potremmo dire anche presentatore delle personalità della compagnia, ognuna delle quali è portatrice di una storia, di un mondo di luci e ombre. C’è Nelson, ex barbone incontrato a Napoli ora elemento del gruppo che entra in scena coltivando gioiosamente il suo giardino di fiori finti sulle note di “Don’t worry be happy” ; c’è Ilaria che in tour scappa dopo gli spettacoli a cercare una milonga per ballare il tango; c’era il fidanzato di Ilaria, Nicola, musicista, grande amico di Pippo, compagno di notti passate a suonare e a parlare di follia; c’è Gianluca che gioiosamente finge di cantare “maledetta primavera” in abiti femminili e poi si trasforma in clown triste; c’è l’immancabile Bobo, che festeggia i suoi 81 anni soffiando a ripetizione su una candelina, in una gag che fa sorridere, ma anche intristisce come ogni presa di coscienza del passare degli anni; c’è la Morte, personaggio che aleggia su tutto lo spettacolo che doveva intitolarsi “la morte gioiosa”, ma che è diventato “La Gioia” dietro raccomandazioni degli amici di Delbono a togliere, almeno nel titolo, il riferimento alla morte, visto che gli spettatori vanno a teatro per divertirsi e, quel macabro invito, avrebbe scoraggiato la visione.

La gioia dov’è allora? Dov’è la gioia? si chiede Delbono urlando per la platea. Ce lo chiediamo tutti dentro le nostre vite affannose e affannate. La gioia è ora, nell’istante presente, dichiara il regista, ma il dolore non tarderà, è sempre vicino, l’uno immancabile compagno dell’altra. Ci sono dei possibili cammini verso la gioia per uscire dalle prigioni del lutto, della depressione, della tristezza, ma anche senza sbarre apparenti siamo tutti naviganti senza bussole, registi delle nostre vite che costruiamo uno show a tentoni, lasciando buchi neri sul percorso.

Il palco viene riempito e svuotato di oggetti a ripetizione, sono barchette di carta, poi sacchi pieni di vestiti dismessi, quindi sacchi di foglie secche coesistenti infine con distese di fiori. Un riempire e svuotare la tavolozza teatrale, come in una presetazione di possibili corrispettivi oggettivi della nostra ricerca della felicità e insieme del passare del tempo, della coesistenza di gioia e dolore, dell’autunno della vita e dell’attesa della primavera che verrà.

Curioso che a fare la parte del “Servo di scena” che posiziona gli oggetti e poi li spazza via, sia un “attore”, propabilmente pakistano, con uno zainetto sulle spalle, a rappresentare un venditore ambulante (o forse vero ambulante), uno dei tanti che affollano le vie di Bologna vendendo rose o piccoli oggetti per sbarcare il lunario.

Surreale e commovente la scena del dialogo tra Bobo e il venditore ambulante su di una panchina, letto da Delbono, quasi una gara di lamentele di acciacchi e dolori, sintesi dell’imprescindibile menzione del dolore e della morte sul cammino della gioia.

La chiave che apre alla possibilità della gioia, oltre al sogno, è la chiave della follia, o se preferite la corda pazza, per riprendere la citazione che Delbono fa a Pirandello. Non menziona in verità “Il berretto a sonagli” Delbono, ma l’ ‘”Enrico IV”, accennando alla scena in cui, davanti al re pazzo, o finto pazzo, un prete si imbambola e prova una grande gioia, la gioia propria del sogno.

Pippo Delbono prende su di sè la parte del re pazzo e insieme quella del prete che sogna gioiosamente, presentandosi come un re che si diverte sognando di fare il pazzo, e prova gioia nella liberazione dalle logiche della corda civile, dalle logiche del fare teatro tradizionalmente inteso e invita il pubblico a guardare uno spettacolo a-logico, a liberarsi dalle proprie costruzioni e sovrastrutture per entrare nel gioco della gioiosa follia che porterà infine a una gioiosa morte, come in un giardino fiorito.

Da abile narratore Delbono ha nascosto tra le storielle di cui è costituito lo spettacolo, l’avvertenza per quelli che credono nella possibile guarigione dalla follia. Il taglialegna può guarire dalla sua follia rinunciando a fare il taglialengna, il mestiere che tanto gli piace. Potrà diventare uno sciamano e aiutare gli altri. Perseverando nel voler fare il taglialegna, nonostante i cicli terapeutici, la follia tornerà. A ognuno la sua scelta: rinunciare al piacere per essere ritenuti sani di mente, o arrendersi alla follia che prevede la gioiosa libertà dalle regole socialmente definite.

In scena fino al 4 marzo all’Arena del Sole