Il mondo della scuola sciopera quest’oggi contro il ddl sulla “Buona Scuola” del governo. Al centro della protesta l’assetto autoritario che verrebbe dato all’ordinamento scolastico, con la discrezionalità data ai presidi per le assunzioni, la farsa sul numero dei precari assunti e la delega data al governo per legiferare al posto del Parlamento. Santoro (Cobas): “No ad una scuola per caste”.

Il mondo della scuola sciopera quest’oggi contro la riforma del governo Renzi, il cosiddetto ddl “Buona Scuola”. Dopo settimane di risposte sprezzanti date dal premier e dalla ministra Giannini ad insegnanti e sindacati dell’istruzione, definiti squadristi quando davano vita a contestazioni o corporativi quando contestavano l’impostazione della riforma, oggi insegnanti, personale Ata e studenti incrociano le braccia e rispediscono al mittente le accuse.
Sono molti i punti della riforma a non piacere: dal numero dei precari assunti (dopo la sentenza europea) all’assetto autoritario che verrebbe dato al mondo dell’istruzione, dalla delega data al governo su alcune misure escluse dal ddl e alla logica dei test Invalsi, dai finanziamenti alle private fino alle modalità del 5 per mille dato al proprio istituto scolastico.

L’IMBROGLIO DELLE ASSUNZIONI. La corte europea ha condannato l’Italia ad assumere i precari della scuola. Un atto dovuto, quindi, ma che Matteo Renzi conta di legare a doppio filo all’approvazione della riforma e di utilizzare come arma retorica contro i detrattori della stessa. “Come si può protestare contro chi vuole assumere 100mila insegnanti?”, va ripetendo il premier in queste settimane.
Grattando la propaganda, però, si scopre che i numeri non tornano. Sono infatti 220mila i precari che attualmente lavorano nella scuola, di cui 180mila sono potenzialmente interessati dalla sentenza europea. Il governo, però, ne vuole assumere solo 100mila, espellendo quindi 80mila persone dal mondo della scuola. Non solo: delle assunzioni annunciate dal governo, 56mila sarebbero già praticabili in virtù di una legge precedente, per cui il governo, nei fatti, assumerebbe solo 45mila persone.

LO STRAPOTERE DEI PRESIDI. Altro punto caldo riguarda il potere che verrebbe conferito ai dirigenti scolastici dalla riforma. Sarebbero infatti i presidi ad avere il potere di scegliere quale insegnante assumere, attraverso una chiamata diretta. Per il mondo della scuola ciò costituisce un pericolo per la libertà di insegnamento e può innescare meccanismi di discriminazione, dal momento che un dirigente scolastico potrebbe scartare a priori insegnanti non conformi alla propria idea, come docenti-sindacalisti, insegnanti gay, meridionali in Padania o persone cagionevoli di salute.
Altro rischio denunciato dai sindacati è quello della polarizzazione, con la creazione di scuole di serie A e scuole di serie B, scuole di eccellenza per i contesti più ricchi e l’abbandono delle scuole di frontiera o situate in situazioni sociali più difficili.

IL 5 PER MILLE. La riforma introdurrebbe anche la possibilità di donare il 5 per mille alla scuola. Se qualcuno contesta il fatto che queste risorse verrebbero sottratte ad organizzazioni umanitarie, innescando una sorta di guerra fra poveri, il nodo più grosso riguarda le modalità di questo versamento. Si è infatti parlato della possibilità di devolvere il proprio 5 per mille non genericamente alla scuola, ma al proprio istituto scolastico. Anche in questo caso il rischio è quello della polarizzazione e della discriminazione: la denuncia dei redditi di un abitante del quartiere Parioli di Roma è mediamente molto più alta che quella di un abitante di Scampia a Napoli.
I sindacati chiedono che lo Stato devolva risorse sulla scuola senza ricorrere alle elemosina, ma attraverso un piano di investimenti che, ad esempio, si occupi della sicurezza degli edifici scolastici.

LA DELEGA AL GOVERNO. Come avvenne per il Jobs Act, anche il ddl “Buona Scuola” contiene alcuni punti per cui il governo chiede la delega e il potere di legiferare. I Cobas Scuola ne hanno contati 14 e contestano la logica del dare carta bianca all’esecutivo, sottraendo potere legislativo al Parlamento.

INVALSI E FINANZIAMENTI ALLE PRIVATE. A fianco ai punti contestati del ddl, si aggiungono “vecchie” rivendicazioni mai risolte, come appunto i finanziamenti alle scuole private, che continuano ad essere costanti nonostante la generale spending review, e la logica dei test Invalsi per la valutazione della qualità. Una logica costruita su parametri nozionistici, che non tengono conto del contesto sociale in cui è inserito ogni singolo istituto scolastico e dei differenti approcci educativi.
“Molti Paesi che avevano introdotto il test Invalsi stanno tornando sulla loro decisione – afferma ai nostri microfoni Antimo Santoro dei Cobas Scuola – mentre l’Italia non sembra intenzionata a tornare indietro. Basti pensare che a chiederlo sono istituti come la Bce”.

L’IDEA DI SCUOLA. Più in generale, ciò che contesta il mondo dell’istruzione al governo è il modello di scuola che la riforma andrebbe a creare. “È la scuola che vuole Confindustria – spiega Santoro – dove studenti e studentesse vengono addestrati, non educati”. Per il sindacalista il rischio ormai non è più quello del passato, dove si temeva la “scuola di classe”, ma quello di avere una “scuola per caste”, con istituti all’avanguardia se lo studente proviene da una famiglia abbiente e scuole scadenti se invece proviene da un settore popolare.