La seconda causa dell’associazione ambientalista sulle procedure di affidamento dei lavori per la bretella autostradale. L’Europa aveva già dato ragione a Legambiente affermando che per il Passante Nord serviva una gara e non l’affidamento diretto al gestore.

La battaglia politica e culturale degli ambientalisti contro il Passante Nord, la bretella autostradale che secondo Provincia e Regione dovrebbe decongestionare il traffico nel nodo di Bologna, diventa anche una battaglia legale.
Per la seconda volta Legambiente presenta una denuncia alla Commissione Europea sulle modalità di affidamento dei lavori per la realizzazione dell’opera.

L’Europa aveva già dato ragione all’associazione ambientalista sullo stesso tema, osservando che il precedente progetto si configurava come nuova autostrada e non come manutenzione o ammodernamento della precedente, dunque i lavori dovevano essere affidati con una gara e non direttamente al gestore.
Regione Emilia Romagna e Provincia di Bologna avevano dunque rimesso mano al progetto, ma le nuove bozze di tracciato e l’affidamento diretto ad Autostrade hanno indotto Legambiente a sollevare nuovamente il problema e la presunta infrazione all’Europa.

“Non si può sostenere che un’autostrada che attraversa mezza provincia e che sarà di 30-40 kilometri sia un adeguamento di quella esistente”, osserva Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna.
Gli ecologisti ribadiscono anche l’inutilità del progetto in un contesto che è molto diverso da quello in cui è stato pensato: “I dati del traffico su gomma registrano un calo – afferma Frattini – Inoltre l’Europa stessa ci dice di spostare i trasporti dalla gomma al ferro per ridurre l’inquinamento”.

E allora il perché di tanta insistenza sul Passante Nord? “Possiamo solo fare ipotesi – risponde il presidente di Legambiente Emilia Romagna – Da quanto è trapelato dalle dichiarazioni dello stesso vicepresidente della Provincia, Giacomo Venturi, il Passante Nord viene visto come occasione di lavoro per le aziende edili in crisi“.
Qualora fosse così, secondo gli ecologisti sarebbe una scelta miope: “Non si può devastare un territorio, penalizzare l’agricoltura e la ricchezza del paesaggio per far tamponare la crisi del settore edile. Molto meglio, allora, far lavorare queste aziende in progetti di riqualificazione degli edifici esistenti, scuole e patrimonio pubblico in primis”.