Nata nel 2008 dopo l’omicidio Reggiani e le campagne securitarie anti-migranti, “Lucha y Siesta” di Roma è una delle pochissime esperienze di case contro la violenza sulle donne occupate. 12 le donne ospitate per un lavoro che coinvolge una settantina di attiviste. E ora si può sostenere il progetto attraverso il crowdfunding.

Casa delle Donne occupata: partito il crowdfunding

Una casa di accoglienza per le donne che hanno subìto violenza, ma occupata. È un’esperienza più unica che rara quella di “Lucha y Siesta” di Roma, di cui si è occupata venerdì scorso la nostra trasmissione “Frequenze di Genere.
Ai nostri microfoni Simona, attivista della casa occupata, ne ha raccontato la genesi, le attività ed ha spiegato l’approccio della struttura, che è attiva nella capitale da ormai 7 anni.
Era il 2007 quando il femicidio di Giovanna Reggiani destò molto scalpore e indignazione. Oltre alle manifestazioni contro la violenza, però, si scatenò anche una campagna securitaria, cominciata da Walter Veltroni e proseguita da Gianni Alemanno che aveva come bersagli i migranti. “A noi era già chiaro – racconta Simona – come sottolineano i dati dei centri antiviolenza e dell’Istat, che l’80% della violenza avviene tra le mura domestiche”. Un dato confermato anche dagli sportelli che le attiviste di “Lucha y Siesta” tenevano a quei tempi.

Contro la violenza, ma anche contro il secutarismo che strumentalizza il corpo delle donne, quindi, nel 2008 fu occupato uno stabile, vuoto da 12 anni, per dare vita all’originale esperienza.
“Nello spazio vivono circa 12 donne in un progetto di semiautonomia per fronteggiare il loro momento di difficoltà – spiega Simona – e in più abbiamo due altre stanze di emergenza per accogliere donne in caso di fuga per maltrattamento e violenza domestica”.
Per sopravvivere, “Lucha y Siesta” coinvolge circa 70 attiviste che danno vita a laboratori, mercatini artigianali e iniziative culturali, il tutto senza un euro di finanziamenti pubblici.
Per sostenere il progetto, ora, è attiva una campagna di crowdfunding  che, oltre a ricercare fondi per allestire una mostra proprio sul progetto, devolverà il ricavato alla casa antiviolenza.