La Camera Penale di Modena istituisce un osservatorio sull’informazione giudiziaria, per segnalare le distorsioni del “processo mediatico”, ma sia Fnsi che Cgil Emilia Romagna esprimono preoccupazione per il pericolo di autocensure o limitazioni nel lavoro dei giornalisti. Tra i componenti, l’avvocato difensore degli imputati nel processo Aemilia.

L’inizio del 2018 ci consegna alcuni elementi inquietanti sul tema dell’informazione e della libertà di espressione. Se giusto una settimana fa ha fatto discutere l’iniziativa del ministro Minniti di istituire un servizio anti-fake news gestito dalla polizia, le notizie che arrivano da Modena sono altrettanto inquietanti. Nei giorni scorsi, infatti, la Camera Penale di Modena ha deciso di istituire un “Osservatorio sull’informazione giudiziaria”, il cui obiettivo dichiarato è “verificare le modalità con le quali vengono riportate dagli organi di stampa le notizie di cronaca giudiziaria e di politica giudiziaria”.

Nel concreto, l’osservatorio servirà a segnalare le distorsioni del cosiddetto “processo mediatico” e sarà composto da quattro avvocati penalisti del foro modenese, sulla scia del lavoro che già svolge un analogo osservatorio nazionale istituito sullo stesso tema dall’Unione delle Camere Penali. Oltre a Modena, anche Reggio Emilia sembra intenzionata a procedere nella stessa direzione ed istituire uno strumento analogo.
Uno dei membri dell’osservatorio – osserva Mirto Bassoli della segreteria regionale della Cgil – è il legale che difende alcuni dei principali imputati nel processo Aemilia, per cui la mente non può non correre ad un anno fa, quando gli imputati chiesero di svolgere il processo a porte chiuse”.

Sia la Federazione Nazionale della Stampa che la Cgil, dunque, esprimono non poca preoccupazione per la notizia.
“Il rischio reale – scrive il sindacato – è di introdurre limitazioni o autocensure nel lavoro fondamentale che i giornalisti compiono per garantire ad ognuno di noi il diritto di conoscere fatti, reati e responsabilità, in relazione a quanto emerge nell’ambito di un procedimento penale. Compito per altro portato avanti con grandi difficoltà, come testimoniano tante, troppe vicende anche recenti”. Tra cui proprio le intimidazioni ricevute da giornalisti che si stavano occupando delle infiltrazioni mafiose nei nostri territori.

Il pericolo ravvisato dalla Cgil, quindi, è che vengano posti dei vincoli all’articolo 21 della Costituzione, che garantisce il diritto di espressione. “Qualcuno vorrebbe che l’informazione arrivasse solo a processo concluso – continua Bassoli – ma è una cosa impensabile che per molti anni i cittadini non possano sapere cos’è successo”.

Come fare, allora, a limitare i cattivi esempi dati dalla stampa, che non di rado ha speculato e fomentato processi mediatici? “Esistono già strumenti e sedi idonei a perseguire chi, per malafede o intenti strumentali di qualsiasi natura, voglia abusare di tali libertà – risponde la Cgil – Francamente fatichiamo ad immaginare come corretti e appropriati quelli indicati dalla Camera Penale di Modena”.
“L’osservatorio – conclude Bassoli – non è uno strumento di soggetti terzi che valuta, ma è di una parte e spesso è composto dagli avvocati difensore degli imputati”.

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