L’intesa raggiunta tra Skopje ed Atene sull’eterna contesa per il nome di “Macedonia” è stata bocciata dai cittadini macedoni. La Nato e l’Ue fanno pressioni per risolvere la partita e limitare l’influenza russa nei Balcani, ma se si arrivasse fino in fondo, il governo Tsipras rischia di subire dei contraccolpi per la contrarietà di Anel. L’intervista al giornalista e scrittore greco Stavros Lygeros.

Lo scorso 30 settembre nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (FYROM) ha avuto luogo un referendum consultivo circa la possibilità o meno di dare seguito agli accordi raggiunti presso il lago Prespa tra la repubblica balcanica e la Grecia. Il tema della consultazione riguardava la possibilità o meno per lo Stato di cambiare il proprio nome in Macedonia del Nord, dal momento che quello attuale è ritenuto provvisorio.
Quando 26 anni fa nacque la Repubblica dallo scioglimento della Jugoslavia sorse infatti nella regione una contesa con la Grecia (dove è presente una regione omonima) sulla sua denominazione.

Ai nostri microfoni, il giornalista e scrittore greco Stavros Lygeros prova a chiarire il quadro generale della disputa: “La Macedonia come regione geografica è una regione polietnica, dove vivono greci, albanesi, bulgari, un tempo ebrei, anticamente turchi”. Così, il fulcro della polemica verte intorno al fatto che “una parte cerca di presentarsi come il tutto”.
Per lo scrittore greco, ad arricchire la problematica si aggiunge il fatto che, nonostante lo stesso fondatore del Paese Kiro Gligorov sottolineasse la diversa etnia dei macedoni residenti nella regione rispetto a coloro che anticamente la abitavano, ultimamente ha preso piede un’ideologia nazionalista che sostiene solo loro essere i veri macedoni e che vede le omonime regioni confinanti come terre ancora irredente.

Sotto questa prospettiva si rende comprensibile, dunque, la ragione per cui il referendum sia alla fine stato boicottato dalla maggior parte della cittadinanza. Tuttavia, alla disputa sul nome se ne affianca un’altra prettamente geopolitica: assieme al cambio di nome, la Grecia ha promesso infatti la fine del veto che esercita nei confronti dell’ingresso del Paese confinante nella Nato e nell’Unione Europea. Così, sotto la pressione internazionale interessata a strappare il Paese all’influenza russa, il premier macedone Zoran Zaef sta tentando comunque di portare avanti il processo di revisione costituzionale necessario al cambio di nome, pur non avendo teoricamente i numeri (gli mancano infatti 11 voti) e mettendo di conseguenza in pratica quello che Lygeros definisce “il lato sporco della politica”, ovvero la compravendita di voti.

La questione, secondo Lygeros, rischia di essere un boomerang anche per il governo Tsipras. La componente di destra dell’esecutivo, il partito Anel, era contraria all’intesa. Qualora Skopje riuscisse a modificare la Costituzione, anche il Parlamento greco sarebbe chiamato a ratificare con un voto la novità.
In quel caso, Anel potrebbe abbbandonare l’esecutivo e il governo Tsipras si trasformerebbe in un governo di minoranza.

Elias Deliolanes

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