Ieri è scaduto il termine dell’Emergenza Nord Africa, ma le migliaia di profughi sui nostri territori rimangono lasciati a se stessi, con 500 euro per il rimpatrio. Cronaca di una storia di errori e mancanze durata due anni.

“L’emergenza Nord Africa finisce come era iniziata, nella confusione, nell’inutile sperpero di denaro e nel dispregio delle persone coinvolte: rifugiati che non hanno usufruito di quanto avrebbero dovuto e di molti operatori che, in questa vicenda hanno tentato di lavorare con serietà” così comincia l’articolo di Rosanna Marcato, ex responsabile del Servizio Richiedenti Asilo e Rifugiati del Comune di Venezia, pubblicato su MeltingPot, in occasione della scadenza dei termini dell’emergenza, avvenuta ieri.

Troppi problemi, le mancanze e gli errori denunciati dagli attivisti e dagli stessi rifugiati nel corso dei due anni in cui si è svolto il progetto di accoglienza gestito a livello nazionale. Ma andiamo con ordine.

Durante la primavera araba, scoppiata negli stati dell’Africa del Nord, diversi sono stati gli arrivi sulle coste italiane di rifugiati politici che scappavano da un panorama incerto e ostile. In Libia, mentre si tentava di deporre il regime di Gheddafi, una vera e propria caccia all’uomo era scattata nelle città e nei piccoli centri, visto che il governo del colonello aveva assoldato soldati mercenari provenienti dall’Africa Subsahariana. La Libia era un passaggio obbligato per tutti i migranti che dall’Africa nera decidevano di spostarsi verso l’Europa. Gli accordi presi tra Berlusconi e il colonello un anno prima della primavera avevano allungato la permanenza dei migranti nel paese. Così in quello stesso periodo migliaia di profughi sono arrivate sulle nostre coste.

Tutte queste persone, una volta arrivati in Italia, sono stati trasferiti nei Cie. Per i rifugiati politici era appena iniziata la lunga trafila di trasferimenti: dal Cie alle varie strutture di accoglienza predisposte in tutto territorio nazionale, senza criteri di distribuzione.

Coloro che sono stati inseriti nel progetto dell’Emergenza Nord Africa e veniva riconosciuto loro lo status di rifugiati politici iniziava l’accoglienza nelle strutture convenzionate con gli enti locali, per la quale ognuna riceveva un finanziamento tarato sulla quantità di migranti accolti e per giorni di permanenza. Così un anno e mezzo fa, il Governo ha stanziato dei fondi, erogati direttamente agli enti gestori, cioè cooperative, albergatori ma anche alla Croce Rossa, destinati ai migranti, che però dichiarano di non aver goduto di neanche un euro di quei contributi. Nello specifico, i 46 euro previsti al giorno a persona, sono stati probabilmente sfruttati per altri fini. In questo panorama nessuna iniziativa è stata pensata per l’integrazione e oggi, passato il termine più volte rimandato dallo stesso Governo, il problema delle 20 mila persone che dopo il 28 febbraio si ritroveranno senza casa e senza lavoro non è stato risolto.

La proposta del governo è quella di 500 euro per poter avviare il rimpatrio: una soluzione di comodo che non tiene in considerazione le motivazioni degli ingenti flussi migratori. E mentre a livello istituzionale a Bologna si parla di chiusura del Cie e circolano le scandalose foto raccolte all’interno della struttura da Medici per i Diritti Umani, i 20 mila rifugiati politici oggi rimangono in Italia con 500 euro in tasca e né una casa né un lavoro.

Dopo un’accoglienza che non soltanto ha creato polemiche ma ha anche dato vita a diverse mobilitazioni da parte dei rifugiati stessi nelle varie città d’accoglienza (basti pensare alle diverse proteste organizzate dai migranti accolti nella struttura dei Prati di Caprara a Bologna) oggi rimane l’incertezza e il silezio. Il tutto grazie a degli accordi presi dal Governo Berlusconi e dal regime di Gheddafi.