Dopo la latitanza e la cattura, il generale Ratko Mladic è stato condannato all’ergastolo per il genocidio di Srebrenica, durante la guerra nell’ex-Jugoslavia. Una condanna tardiva ma importante. Ancora più difficili gli sforzi delle famiglie delle vittime contro il contingente Onu olandese che permise a Mladic di effettuare il massacro. Oggi l’ex-Jugoslavia è ancora divisa. L’intervista a Cecila Ferrara di Radio Bullets.

Nel luglio del 1995 circa ottomila bosniaci musulmani furono sterminati a Srebrenica, un’enclave bosniaca che doveva rappresentare un protettorato Onu. Qui, infatti, era presente un contingente olandese, che però non fermò l’avanzata dei soldati di Ratko Mladic, il generale serbo-bosniaco che, in quei tragici anni, compì un vero e proprio genocidio.
Il tribunale internazionale dell’Aja ha condannato oggi Mladic all’ergastolo, proprio in relazione alla pulizia etnica compiuta a Srebrenica.

L’incriminazione per Mladic, in realtà, arrivò fin da subito, ma il generale riuscì a fuggire ed è stato latitante, con presumibili coperture dello Stato serbo, per ben 14 anni.
Nel 2011 fu scoperto e arrestato, riuscendo quindi a dare il via al processo per genocidio.
In questi anni Mladic non ha mancato di irridere e disprezzare la corte, non mostrando alcun segnale di pentimento per il massacro.
Poco prima della lettura della sentenza, oggi, Mladic ha urlato “È tutta una bugia” ed è stato allontanato dall’aula.

“Quella di oggi è una sentenza tardiva ma importante – commenta ai nostri microfoni Cecilia Ferrara, giornalista di Radio Bullets esperta di Balcani – Di sicuro non riporta indietro niente e lascia purtroppo profonde divisioni nell’ex Jugoslavia, dove si sono addirittura formati gruppi di sostegno a Mladic che hanno seguito in streaming la sentenza, ma è comunque un primo passo importante”.

Video: Ratko Mladic rassicura la popolazione bosniaca prima di trucidarla

Quanto al contingente olandese, Ferrara spiega che sono state solamente le associazioni della società civile e le famiglie delle vittime a condurre una battaglia per l’attestazione delle responsabilità.
Lo stesso tribunale dell’Aja ha condannato i soldati, che a tutti gli effetti non hanno fatto nulla per impedire il massacro.

Molte delle divisioni che persistono nell’ex-Juslavia, inoltre, derivano direttamente dall’accordo di Dayton del 1995, con cui venne messo fine alla guerra.
L’accordo sancisce una forma di gestione del potere tripartita fra le principali componenti etniche: quella serba, quella bosniaca e quella croata. Ciò, per fare un esempio, ostacola il percorso della Bosnia verso l’Europa, dal momento che altre minoranze del Paese, come rom ed ebrei, non possono essere rappresentate.
La tripartizione e il potere di veto di ciascuna parte, inoltre, burocratizza e immobilizza le scelte politiche.

ASCOLTA L’INTERVISTA A CECILIA FERRARA: