L’Onu ha condannato la decisione di Israele di costruire nuovi insediamenti. Il 24 gennaio il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva annunciato un piano per la costruzione di 2500 nuove abitazioni all’interno degli insediamenti in Cisgiordania. Ma secondo l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini “se l’Onu non assume posizioni più decise, anche di intervento, non succede nulla”.

Israele: 50 anni di apartheid nei confronti dei palestinesi

Non si è fatta attendere la risposta dell’Onu alle dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ieri aveva annunciato un piano per la costruzione di 2500 nuove abitazioni all’interno degli insediamenti in Cisgiordania. Secondo una portavoce delle Nazioni Unite, infatti, questo genere di “azioni unilaterali” sono un ostacolo al processo di pace basato sulla soluzione dei due Stati. “In realtà – ha sottolineato Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento Europeo, ai nostri microfoni – l’Onu denuncia ma se non assume delle posizioni più precise, anche di intervento, rispetto alla continua violazione che Israele fa delle restrizioni delle Nazioni Unite, non succede nulla”.

Le tensioni tra Nazioni Unite e Israele non sono una novità, soprattutto dopo la risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza il 23 dicembre, che chiedeva al governo di Israele di interrompere ogni attività nei propri insediamenti nei “cosiddetti territori occupati” palestinesi e a Gerusalemme est, dove complessivamente vivono circa 630mila persone, definendo l’occupazione “senza validità legale” e rischiosa per il processo di pace. Una decisione che, pur non obbligando Israele a fare qualcosa, ha avuto comunque un alto valore simbolico, soprattutto per la posizione degli Stati Uniti, che per la prima volta dal 1979 si sono astenuti senza porre il veto in difesa di Israele, permettendo alla risoluzione di passare.

Ma a dicembre alla guida degli Usa c’era ancora Obama, e la situazione era molto diversa.
“Netanyahu si sente in questo momento molto forte – ribadisce infatti Morgantini – essendo difeso dall’amministrazione Trump. Le relazioni tra Israele e gli Usa sono sempre più rassicurate, e quindi Israele va avanti con molta forza e con escalation non solo a costruire colonie, ma anche a reprimere fortemente qualsiasi forma di resistenza popolare non violenta che i palestinesi stanno facendo”.
Trump infatti ha chiarito fin da subito la sua posizione filo-israeliana, dichiarando in un primo momento che avrebbe spostato l’ambasciata a Gerusalemme. Una posizione questa che sarebbe davvero radicale, perché di fatto riconoscerebbe l’annessione di Gerusalemme come capitale unica e indivisibile di Israele.

Come sempre, non è facile capire fino a che punto il neo-presidente americano sia intenzionato a dare un seguito alle proprie dichiarazioni. Infatti ieri Ahmad Majdalani dell’Olp ha dichiarato che la leadership palestinese ha ricevuto “messaggi di rassicurazione” dagli Usa sul fatto che il presidente Trump intenda congelare per il momento il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.
“Sicuramente Trump non farà tutte le cose che ha dichiarato in campagna elettorale – commenta l’ex-europarlamentare – però è inevitabile il trasferimento dell’ambasciata prima o poi. Solo che Trump ha avuto contro di sé la reazione non soltanto del Dipartimento di Stato americano, ma anche di molti Paesi europei e delle Nazioni Unite stesse. Però ha già fatto alcune altre azioni, per esempio ha comunicato che il suo ambasciatore non lavorerà da Tel Aviv ma da Gerusalemme. Quindi alcuni passi li sta già facendo, non arriverà a fare immediatamente l’ambasciata ma credo sia quello che vorrà fare, perché non credo che si fermerà”.

Anna Uras