Il dibattito sui finanziamenti alle scuole private sollevato dal referendum colpisce un nervo scoperto del Pd, che reagisce stizzito e scomposto. Tra scomuniche, insulti ed accuse agli alleati, i Democratici danno una brutta immagine della loro idea di partecipazione.

Comitato Articolo 33 con le spalle al muro

Non è una bella immagine quella che danno di sè i vertici politici ed istituzionali del Partito Democratico bolognese, dopo che il referendum proposto dal Comitato Articolo 33 in materia di finanziamenti alle scuole private ha ottenuto l’ammissibilità dai Garanti di Palazzo D’Accursio.
Assessori e segretari di partito si sono lasciati andare a reazioni scomposte e stizzite, perdendo in più di un’occasione l’aplomb che si conviene in un dibattito democratico.

A dare il via alle danze è stata l’assessora comunale all’Istruzione Marilena Pillati che, invece di esprimere serenamente una posizione legittima e contraria al tema sollevato dal referendum, ha bollato la chiamata alle urne dei cittadini come “ginnastica ideologica”. Non contenta, ha poi cercato di puntare sui costi che una tornata di votazioni comporta per bilancio comunale, prestando però il fianco a facili e sacrosante obiezioni. Dopo aver promesso un’istruttoria pubblica mai tenutasi sul tema della scuola, infatti, la giunta ha deciso di procedere a testa bassa per la sua strada. Dunque il referendum è la conseguenza della chiusura al dialogo del Comune su un tema così importante.
Senza considerare poi che i 500mila euro conteggiati dalla Pillati per le operazioni di voto son ben poca cosa rispetto al milione di euro che annualmente, per più di un decennio, il Comune ha versato nelle casse delle scuole paritarie.

Come se non bastasse, sul tema è intervenuto anche il segretario provinciale del Pd Raffaele Donini, che non è stato da meno. Prima ha affermato che il quesito referendario non ha fondamenti, poi ha accusato gli alleati di Sel, astenutisi durante la votazione in Consiglio comunale, di essere confusi. Come dire che chi non è fedele alla sua linea non è in grado di intendere di volere.
Ma l’uscita più grave di Donini riguarda l’attacco che ha rivolto alla portavoce del Comitato Articolo 33, Francesca De Benedetti, consigliera proprio per il Pd nel quartiere Santo Stefano.
Il segretario provinciale ha parlato esplicitamente di una scomunica nei confronti della De Benedetti. Una dichiarazione che ha il sapor di epurazione dal partito. Lo stesso partito che, a livello nazionale, non riesce a trovare una sintesi sul tema dei diritti civili, diviso e funestato da mille correnti, che goffamente i vertici motivano come pluralismo.
Ma la De Benedetti, evidentemente, non è portatrice di altri interessi se non il sacrosanto diritto, sancito dalla Costituzione italiana, di avere una scuola pubblica, laica e gratuita da un lato e una scuola privata “senza oneri per lo Stato” dall’altra.

Per i vertici Democratici, dunque, lo scorno è stato grande, da cui le reazioni scomposte e talvolta poco eleganti.
In un colpo solo il referendum sulla scuola ha messo in evidenza due nervi scoperti del Pd: il concetto di partecipazione – troppo importante per essere ridotto ad una ratifica formale degli atti della giunta, come vorrebbero i dirigenti del partito – e il concetto distorto di sussidiarietà di cui il sindaco Merola e alcuni dei suoi assessori sono promotori. “Questo rap fa schifo”, bisognerebbe dire alla giunta cittadina, parafrasando uno slogan utilizzato da Merola in campagna elettorale (a proposito: il responsabile della campagna elettorale è appena stato assunto da Palazzo D’Accursio in veste di “supercomunicatore” per una consulenza da 90mila euro).

Il referendum, occorre ricordarlo, non sarà vincolante per l’Amministrazione comunale. Ma sarà comunque un banco di prova per testare proprio l’idea di partecipazione di un partito che, ricordiamolo, si definisce democratico.