IndiChe

In questa puntata di “IndiChe?”, la rubrica di “Vieni avanti creativo” che si interroga su cosa significa essere indipendenti, è intervenuto lo scrittore e autore televisivo Carlo Lucarelli. “Essere indipendenti significa avere coraggio di fare quello che si ritiene giusto senza autocensurarsi”.

Carlo, ti consideri indipendente?
“Mi considero indipendente, perché finora mi è capitato di fare solo le cose che volevo fare, solo le cose che mi piace fare e le ho fatte più o meno come volevo io. Per fortuna ho sempre lavorato un po’ da outsider all’interno di strutture come la Rai, che magari può sembrare una struttura ossessiva. Io invece sono uno che viene da fuori, fa una cosa a modo suo e per questo è anche difficile esercitare pressioni su di me. Per questo sì, mi considero indipendente”.

Cosa significa essere indipendente nel tuo lavoro?
“Significa un paio di cose abbastanza concrete, senza le quali non esisterebbe l’indipendenza. Una la ricordo da una discussione fatta con Michele Serra: lui disse che la grande, forse unica libertà che ha l’artista è quella di dire di no. Significa che non devi fare una cosa se non vuoi farla, e non la devi fare nel modo in cui ti viene chiesto se non vuoi farla così. L’altra cosa in un certo senso è l’opposto: vuoi fare una cosa in un certo modo e devi avere la possibilità di farlo. È un confine, questo, che tocca anche con le disponibilità materiali, nel senso che non è soltanto una questione di censura, ma devi essere messo in condizione di fare una certa cosa, attraverso i mezzi necessari che devono venire stanziati. Questo è il campo di battaglia più duro nel quale combattere”.

Quali sono i pro e i contro dell’essere indipendente nel tuo settore?
“I pro ovviamente sono che fai qualcosa che ti piace e ritieni utile, nel modo in cui lo ritieni utile. Non essere indipendente da questo punto di vista è sottostare a scelte di altri. Questi sono i pro: fai quello che vuoi tu, e lo fai come vuoi tu, perché ritieni che sia giusto così.
I ‘contro’ sono che chi non è indipendente sicuramente ha molti più mezzi, perché quando sottostai a certi ricatti, politici e artistici, di sicuro nessuno ti creerà problemi e avrai un sacco di soldi per fare quello che vuoi fare. Però la domanda è sempre quella: ne vale la pena? Di fare una brutta cosa che non serve a niente ma sei sicuro di farla, piuttosto che battersi per fare una bella cosa che serve, senza però la sicurezza di riuscire a farla”.

Quali sono, secondo te, gli spazi e gli strumenti in Italia per una scelta di indipendenza?
“Sono sempre meno, devo dire. Non solo perché c’è stato e c’è un controllo politico. Si vuole che le cose vengano fatte in un certo modo perché disturbano meno. Dall’altra parte esiste però in Italia un restringersi degli spazi di fronte al timore di chi deve fare le cose. Il nostro problema è che siamo più realisti del re, e avendo il timore che in televisione o nell’editoria qualcosa ti venga rifiutata o che ti crei dei problemi, ti autocensuri oppure vieni censurato dai tuoi immediati referenti. Questo conformismo, questo avere paura, è uno dei motivi che restringe sempre di più gli spazi dell’indipendenza in Italia. Dovremmo avere più coraggio”.