I dati e le previsioni del traffico, sia su ferro che su gomma, dimostrano che la linea Tav Torino-Lione non è necessaria, ma c’è chi evoca penali per un abbandono dell’opera, che in realtà non stanno scritte da nessuna parte. Il risparmio, invece, c’è eccome: almeno 7 miliardi di euro. L’intervista al ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni Francesco Ramella.

La formazione di un governo giallo-verde, almeno per un attimo, ha suscitato speranze nel movimento No Tav, che si oppone alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione.
Il M5S, in particolare, ha raccolto negli anni molti consensi in Val di Susa, anche e soprattutto perché è uno dei pochissimi partiti ad essersi dichiarato formalmente contro il tav.
Le trattative per il contratto tra Di Maio e Salvini, però, hanno annacquato i propositi pentastellati. Se in una prima fase i grillini dichiaravano di voler abbandonare l’opera, successivamente Di Maio ha corretto il tiro, dicendo di voler parlare con la Francia per persuaderla a rinunciare.

Qualunque cosa decida di fare il governo che va formandosi, però, il progetto della Torino-Lione rimane inutile. A certificarlo sono stati gli stessi dati dell’Osservatorio di Palazzo Chigi, che nel febbraio scorso ha ammesso che le previsioni di traffico lungo la linea erano sbagliate, ha riconosciuto che i costi sono esosi, ma non ha manifestato l’intenzione di abbandonare l’opera, con una motivazione che suonava all’incirca come un “già che siamo in ballo balliamo”.

La storia del Tav Torino-Lione, del resto, è piena di chi voleva realizzare comunque l’opera, anche contro ogni evidenza.
Una delle ultime argomentazioni rimaste, riconosciuto e dimostrato l’errore nelle previsioni del traffico su ferro, riguarda il traffico su gomma. Da qualche anno, infatti, nel traforo della Val di Susa passano più tir. Per Etienne Blanc, vicepresidente della Regione Auvergne-Rhone-Alpes, questo sarebbe sufficiente a dimostrare la necessità della realizzazione del tunnel.

“Il traffico attuale di tir nel tunnel nel Fréjus – osserva ai nostri microfoni Francesco Ramella, ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni – è pari alla metà di quello nei primi anni Duemila quando, in seguito all’incidente nel traforo del Monte Bianco, tutto il traffico venne deviato sulla Val Susa”.
La capacità dell’attuale infrastruttura, quindi, è ben lungi dall’essere saturata.

L’ultima carta evocata da chi vuole realizzare l’opera è quella delle salatissime penali che l’Italia pagherebbe se abbandonasse il progetto.
In realtà, come ha ammesso lo stesso presidente dell’Osservatorio sull’asse ferroviario, negli attuali accordi non è prevista alcuna penale. Nel programma M5S-Lega, inoltre, viene fatta una cifra, 2 miliardi di euro, che sarebbe il costo che l’Italia dovrebbe sostenere per una marcia indietro.
“In realtà – spiega Ramella – non si tratterebbe di un costo economico, ma di un trasferimento di risorse tra Paesi europei”.

In un’epoca di spending review e di progetti politici costosi, invece, tangibile sarebbe il risparmio. L’Italia ha già speso 1,5 miliardi per la Torino-Lione e dovrebbe aggiungerne altri 6 o 7 degli 8,6 miliardi complessivi. “In questi casi però – sottolinea il ricercatore – a consuntivo queste opere costano molto di più di quanto preventivato. Le tratte dell’Alta Velocità in Italia sono costate il doppio di quanto preventivato, quindi potremmo raggiungere anche cifre piuttosto alte”.

L’analista, infine, che realizzare un’infrastruttura non è un bene in sè: “È come realizzare un nuovo stabilimento produttivo. L’opportunità o meno di fare quell’investimento dipende da quante macchine riusciamo a produrre e soprattutto a vendere. Se il numero è troppo piccolo, non è conveniente”.
Lo storico dei dati di traffico sul versante alpino occidentale, che attualmente si attestano ai livelli di metà anni ’90, ci dicono che il Tav non è un investimento conveniente e sensato.

ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCO RAMELLA: