Il famoso documentarista Folco Quilici, in un’intervista in esclusiva per LucidaMente, parla del suo prossimo libro, in cui affronta anche il problema dei rifiuti tossici scaricati in mare o sulle coste

Folco Quilici: l’intervista di LucidaMente

Il ferrarese Folco Quilici, nato nel 1930, è un documentarista cinematografico, noto per le opere realizzate prevalentemente sul mare, per le quali ha ricevuto numerosi e importanti premi. Quilici si specializza fin da giovane in riprese subacquee, esordendo con Sesto continente (1953), il suo primo lungometraggio d’ambiente sottomarino, che ha notevole successo di pubblico e di critica e riceve il Premio speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954. A questo seguono lungometraggi e film di grande effetto come L’ultimo paradiso, Tikoyo e il suo pescecane, Oceano, Fratello mare. All’attività cinematografica ha, poi, alternato quella televisiva, fondando una vera e propria scuola cinegiornalistica di divulgazione scientifica, che ha saputo miscelare con le esigenze dello spettacolo e dell’intrattenimento proprie del piccolo schermo, sia in Italia che all’estero. Il suo curriculum è riportato nel sito www.folcoquilici.com, dove si possono trovare la biografia, le opere e gli innumerevoli documentari da lui realizzati. In occasione dell’ultimo appuntamento della rassegna culturale “Il sabato del villaggio”, svoltosi a Lamezia Terme, Quilici ci ha concesso la seguente intervista.

È vero che lei è stato il primo a scattare foto da un elicottero?

«Sì. All’inizio la mia carriera si è svolta soprattutto all’estero, i miei primi film- documentari, infatti, sono stati ambientati fuori dall’Italia. In Africa sono stato tra i primi a scattare foto da un elicottero. Rispetto alle aerofotogrammetrie, con l’elicottero ti puoi muovere meglio. La Esso nel 1965 mi ha affidato la realizzazione di una serie di film sull’Italia. Dovevano essere sei, ma alla fine sono diventati diciotto, e io ho deciso di iniziare dalla Calabria. Nel 1957 il film La Calabria vista dal cielo ha vinto il primo premio al Festival del Cinema di Venezia ».

È luogo comune considerare il mare “traditore”. Lei che ne pensa?

«No, il mare non tradisce. Cambia, muta. È la sua natura!».

Qual è stata l’esperienza più toccante in questo senso?

«Gran parte dei miei lavori li ho fatti in barca e non a terra, a differenza di molti che girano i documentari restando in albergo. La mia barca, pur essendo grande, era minuscola rispetto al mare. Quindi, io e la mia equipe abbiamo visto cosa significa affrontare una tempesta nel canale di Sicilia o in Grecia, ma anche in India e in Polinesia, dove spesso si verificano forti uragani. Per fortuna, essendo una nave militare, l’imbarcazione su cui mi trovavo in Polinesia era piuttosto grande. Però sono rimasto impressionato lo stesso; per questo dico che con il mare non si scherza!».

Può parlarci del fenomeno delle “navi dei veleni”?

«Certo, ho dedicato al problema un capitolo del mio nuovo libro, che uscirà il prossimo settembre».

Cosa ci può anticipare di questo preoccupante problema?

«Posso anticipare che il problema delle “navi dei veleni” è mondiale. Se ne è parlato tanto in passato, ma a un certo punto, misteriosamente, si è smesso di affrontarlo. Si tratta di un problema a doppio taglio. Ci sono stati anche degli episodi strani, specialmente al largo della costa di Cetraro, dove si sospettava la presenza di una di queste navi. Poi, si è scoperto che si trattava del relitto di un’imbarcazione da trasporto affondata nel 1914. Ormai da dieci anni – ma soprattutto negli ultimi quattro o cinque – il mondo è talmente afflitto dai problemi economici, causati dalla crisi pazzesca che coinvolge molti Paesi, che di queste tematiche non si parla più».

Quali rischi corrono i cittadini?

«I controlli diminuiscono e la pirateria aumenta. E la pirateria di oggi non fa gli abbordaggi, come nei libri di Salgari, ma trasporta e smaltisce le scorie velenose. È recente il racconto di un pilota italiano, recatosi coraggiosamente in Somalia per salvare una famiglia in difficoltà, il quale ha riferito che la costa somala, ormai priva di controlli, è piena di grandi depositi di prodotti inquinanti, abbandonati da non si sa chi».

I governi cosa fanno?

«Niente… i governi non fanno niente. Sarà una questione che riguarderà le generazioni successive. Nel mare ancora non ci sono problemi tanto rilevanti, a parte le zone in cui sono stati scaricati i veleni, ma, andando avanti, la situazione diventerà molto drammatica. Un altro problema, di cui nessuno parla, è il seguente: se la pesca continuerà così nei mari del mondo, con flotte immense che distruggono le riserve di pesce situate soprattutto intorno ai due poli, tra il 2028 e il 2030 non ci sarà più niente da pescare».

Chi potrà risolvere questo problema?

«Non saprei. Le Nazioni unite oggi non sono capaci di fermare gli omicidi in Siria, come in passato non sono stati capaci di fermare le stragi in Africa o in Serbia. Quando mai armeranno una flotta da mandare al Polo Sud? Chi la pagherebbe?».

Ci dica qualcosa sul suo prossimo libro.

«Sarà pubblicato dalla Mondadori. Nei prossimi giorni concorderemo il titolo definitivo. Comunque, è un’opera dedicata alla storia dell’archeologia subacquea, dalla preistoria a oggi, in cui si parla di quelli che sono stati e sono ancora i problemi creati dalle navi inabissatesi sott’acqua».


Tratto da www.lucidamente.com – Intervista e testo di Dora Anna Rocca