Renzi elogia il centrista francese Macron, ma il candidato del gruppo europeo socialista è Hamon. Sembra sempre più profonda la frattura all’interno del Pd. Anche la scelta di andare al congresso, approvata ieri dalla direzione del partito, suona come una forzatura dell’ex premier. Le minoranze chiedevano un confronto pre-congressuale, ma le istanze non sono state raccolte. Scissione sempre più probabile. L’intervista al senatore Sergio Lo Giudice.

Le divisioni del PD non finiscono mai

“Il Pd è morto”, “La scissione è imminente”. Ormai sulla stampa italiana si parla apertamente delle profonde fratture che si registrano all’interno del Partito Democratico.
Nella direzione di ieri, le varie anime – quella maggioritaria renziana e le diverse minoranze – non hanno mostrato una visione comune nemmeno su un tema che non le riguarda direttamente, come le elezioni presidenziali francesi.

Renzi nel suo intervento ha elogiato Emmanuel Macron, il candidato centrista dato come probabile sfidante di Marine Le Pen al ballottaggio per le presidenziali d’Oltralpe, ma altri esponenti democratici hanno fatto presente all’ex premier che il gruppo politico europeo di appartenenza del Pd è quello dei socialisti. Il “loro” candidato, dunque, dovrebbe essere Benoit Hamon, considerato da Renzi troppo di sinistra, al punto da condurre i socialisti francesi all’irrilevanza elettorale.

La questione apparentemente secondaria, in realtà, dice molto dello scontro che si sta consumando all’interno del Pd sulla linea politica.
La guida renziana ha trasformato e vorrebbe continuare a trasformare i democratici in una formazione di stampo democristiano e neoliberale, mentre le minoranze interne vorrebbero riportare più a sinistra il partito.
Non è un caso, quindi, che l’ennesimo strappo consumatosi ieri, quello sulla tempistica del congresso, veda le minoranze interne schierate per una discussione più lunga, che al posto “della conta e delle rese dei conti”, come le definisce ai nostri microfoni il senatore di Retedem Sergio Lo Giudice, riguardi piuttosto un chiarimento sulla linea politico-programmatica del partito.

“Non si può risolvere tutto con un’assemblea nei circoli e una domenica a votare ai gazebo”, osserva Lo Giudice, che ieri in direzione si è astenuto sull’ordine del giorno del segretario.
Ormai sono in tanti, all’interno del Pd, ad essere stanchi delle forzature e delle prove muscolari di Renzi, che sembra essere riuscito a ribaltare la richiesta di congresso delle minoranze, seguita alla sconfitta del 4 dicembre, in un’occasione a proprio vantaggio, accelerando i tempi.

Secondo Lo Giudice, infine, lo spettro della scissione, che personalmente considera una iattura, si fa più concreto, aiutato anche dalla legge elettorale uscita dalla Consulta.
“Il sistema proporzionale favorisce le identità individuali nei partiti politici”, sostiene il senatore. Per cui se non c’è qualcuno capace di accogliere le varie anime e di fare sintesi, sarà sempre più difficile ridurre il numero di coloro che pensano di vedere risconosciute le proprie istanze altrove.