L’intervista al giornalista turco Can Dündar, in esilio in Germania dopo la repressione di Erdoğan. Candidato al Nobel e oggetto di un mandato di cattura internazionale, al giornalista è stato assegnato il Premio Anna Politkovskaja al Festival di Internazionale a Ferrara.

Da un lato la candidatura al Premio Nobel per la Pace, dall’altro un mandato di cattura internazionale emesso dalla Turchia. È fatta così, di picchi divergenti, la vita di Can Dündar, giornalista turco che è stato insignito del Premio Anna Politkovskaja durante il Festival di Internazionale a Ferrara.
Un riconoscimento per l’impegno a favore della verità, della libertà e della democrazia che, ai tempi di Erdoğan, sembrano un miraggio.

Dündar era uno dei giornalisti più noti in Turchia, prima che la repressione e la censura del “sultano” iniziassero a stringere la morsa.
Ora vive in esilio a Berlino, mentre la moglie è bloccata in Turchia: una forma di ritorsione e ricatto dello Stato turco nel tentativo di silenziare una delle voci più scomode al regime.
Dündar, in ogni caso, si sente fortunato. 160 giornalisti, tra cui quattro suoi colleghi, sono attualmente rinchiusi nelle carceri turche.

Anch’egli ha conosciuto la detenzione e, quando ha capito che Erdoğan avrebbe sfruttato il fallito golpe del 2016 per un repulisti, ha deciso di rifugiare in Germania.
I suoi giornali, Milliyet e Cumhuriyet, cercano in qualche modo di sopravvivere e resistere ai continui tentativi del regime di silenziare ogni voce del dissenso.

Il giornalista è entrato nel mirino del governo turco già nel 2013, quando espresse critiche alla gestione delle proteste di Gezi Park. Erdoğan, allora primo ministro, ordinò di aprire il fuoco sui manifestanti.
I problemi col potere si acuirono quando il giornalista realizzò un documentario in cui rivelava la corruzione governativa e il traffico di armi coi jihadisti, che ufficialmente il governo affermava di voler contrastare.

Quello attuale è il periodo più buio che la Turchia abbia mai vissuto“, sostiene Dündar ai nostri microfoni. Una situazione che sta facendo perdere alla Turchia la laicità che l’ha sempre contraddistinta.
Il “sultano” Erdoğan, in pochi anni, è riuscito a prendere il controllo di tutti gli organi dello Stato: dalla magistratura alle università, fino all’esercito, tradizionalmente garante della laicità dello Stato.

Una grossa mano all’attuale presidente turco è arrivata dall’Europa, che gli ha messo nelle mani un coltello dalla parte del manico grazie all’oneroso accordo sui rifugiati. In questo modo la Turchia non solo può ricattare l’Unione europea, minacciandola di riaprire i flussi migratori, ma ha assunto un ruolo strategico nell’area, che le permette di scegliere con chi trattare: talora gli occidentali europei, talora la Russia di Putin.
“Per cambiare la situazione in Turchia – osserva il giornalista – l’Europa deve smettere di supportare Erdoğan e aiutare chi si batte per il ritorno della democrazia“.

ASCOLTA L’INTERVISTA A CAN DUNDAR:

Traduzione e doppiaggio: Maja Musi