Fino a tre anni di carcere a chi sostiene che la Polonia collaborò coi nazisti. Il Senato polacco ha approvato la controversa legge, che ha sollevato le ire di Israele. Per lo storico Luca Alessandrini il provvedimento è grave sia per ragioni storiche che per ragioni politiche.

Il Senato polacco dominato dal partito conservatore Diritto e giustizia (Pis) del leader Jaroslaw Kaczynski, nonostante le proteste di opposizione, ha accolto nel voto la controversa legge con la quale si può condannare fino a tre anni di prigione coloro che attribuiscono alla nazione o lo stato polacco la corresponsabilità per l’Olocausto oppure negano i crimini compiuti durante la guerra sui polacchi da parte degli nazionalisti ucraini.

Forti reazioni si sono levate in Israele all’approvazione della legge. Il ministro israeliano Yoav Gallant l’ha definita “un caso di negazione della Shoah”. “La memoria dei sei milioni di ebrei uccisi – ha detto su twitter, ripreso dai media – è più forte di qualsiasi legge. Proteggeremo la loro memoria e faremo nostra la lezione: la capacità di difenderci da noi stessi”.

Per diventare operativa la legge deve essere ancora firmata dal capo di stato Andrzej Duda. Ieri un gruppo di senatori Usa della commissione contro l’antisemitismo gli ha rivolto un appello a non firmare la legge, mentre il Dipartimento di stato degli Usa ha invitato i parlamentari polacchi a fare un passo indietro per non peggiorare le relazioni fra gli Stati uniti e la Polonia.

Ai nostri microfoni Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto storico “Ferruccio Parri”, spiega i problemi della misura. Da un lato l’imposizione per legge di una verità storica. “Noi fummo contrari anche alla legge sul negazionismo – ricorda Alessandrini – perché la verità storica è una verità scientifica, dunque una verità scientifica ed oggetto di costante ricerca”.

Dall’altro lato, con questo provvedimento la Polonia si chiama fuori dalle responsabilità storiche, sue e dell’Europa, su quanto avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale.
La Polonia fu sicuramente uno stato vittima, in quanto oggetto di una pesante occupazione dei soldati tedeschi e del nazismo, che considerava gli slavi inferiori – osserva Alessandrini – ma in Polonia come in altri Paesi europei l’antisemitismo era forte, al punto che un anno dopo la fine della guerra, quando il Paese era libero dall’occupazione nazista, furono i cittadini polacchi ad attuare un pogrom contro un gruppo di ebrei che erano tornati”.

Sul versante politico, inoltre, le ragioni di questa legge sono altrettanto inquietanti. “Da un lato il governo polacco vuole costruire un nazionalismo che cerca una purezza anche dal punto di vista del proprio passato, un nazionalismo assoluto che si pone al di fuori di ogni possibilità di critica. In secondo luogo questa legge è un ammiccamento all’estrema destra, che in molti Paesi europei in questi anni si pone il problema di risolvere il rapporto col proprio passato nazista”.

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