La fusione con Acegas Aps porta Hera ad allontanarsi dal territorio e a inseguire ancor più la finanza. Lo sostiene il comitato per l’acqua pubblica, che denuncia anche come l’operazione stia avvenendo all’insaputa di quasi tutti i soci pubblici.

Addio alla vocazione territoriale. La fusione tra Hera e Acegas farà della multiutility emiliano romagnola un colosso finanziario più vicino alla dimensione multinazionale che all’azienda che gestisce i servizi idrici, energetici e dei rifiuti.
Ne sono convinti i comitati per l’acqua pubblica che, a più di un anno dal referendum (vinto ma non applicato), osservano da vicino e contestano le scelte di Hera.

Hera-Acegas: la fusione che scontenta tutti

La fusione con Acegas Aps è, secondo i comitati, anzitutto un’operazione poco trasparente. “I soci pubblici che sono a conoscenza dell’operazione – lamenta Andrea Caselli, portavoce regionale del Comitato Acqua Bene Comune – si contano sulle dita di una mano. Per ora c’è stato il vaglio del cda di Hera, ma sindaci e consigli comunali sono pressoché all’oscuro della faccenda”.

Secondo i referendari, invece, la fusione dovrebbe essere oggetto di discussione tra gli azionisti pubblici della società proprio per le conseguenze che essa comporterà. “Innanzitutto si perderà la vocazione territoriale dell’azienda, dal momento che i territori coperti si estenderanno da Emilia Romagna e Marche a Veneto, Friuli con punte anche in Serbia e Bulgaria”.

La prima conseguenza diretta sarà una perdita del potere di incidere sulle scelte dell’azienda da parte degli amministratori pubblici dell’Emilia Romagna. “Formalmente la quota pubblica della società resterà maggioritaria, ma il peso degli Enti Locali della nostra regione scenderà al 42% per consentire l’ingresso degli amministratori di Padova e Trieste”. Aumento della valorizzazione ed emissione di nuove azioni, dunque. Processi finanziari che, secondo i comitati, allontanano la multiutility dalla sua mission: la gestione dei servizi idrici, energetici e dei rifiuti.
“La nuova società assumerà sempre più la forma di un colosso finanziario che punterà a tutelare soprattutto gli azionisti – osserva Caselli – mentre l’erogazione di servizi sarà relegata sempre più a strumento per garantire i dividendi”.
Una logica da multinazionale, insomma, molto lontana dalla direzione che il referendum del 12 e 13 giugno 2011 aveva cercato di imprimere alla materia.

I giochi della fusione tra le due società sembrano scontati, ma i comitati per l’acqua pubblica intravedono uno spiraglio: “Informeremo consiglieri comunali e sindaci e già sappiamo di forti malumori. A settembre chiameremo la cittadinanza alla mobilitazione”.