Dal 7 al 18 settembre al Cubec, in via Selmi 81 a Modena, la mostra di Bruno Benuzzi “Della Fanerologia”, con un testo critico del filosofo Roberto Marchesini, a cura dell’Associazione Culturale Rosso Tiepido. Un’esposizione per scrutare la natura con occhi diversi.

Mostra di Bruno Benuzzi a Modena

Tutto ciò che vive vuole anche mostrarsi” si legge in Wolfgang Goethe. Si può riassumere così, con uno slogan, il fascino indiscreto della Fanerologia, scienza a cui pare rifarsi la ricerca artistica di Bruno Benuzzi. Prendendo le distanze dalla concezione della morfologia animale come sola necessità mimetica, l’artista reinventa le magie già insite nelle molteplici forme animali per travisare consapevolmente la fanerologia offrendo l’opportunità di scrutare la natura con occhi diversi. Un approccio estatico alle superfici dermatiche di animali e vegetali impronta da sempre l’opera di Benuzzi, su cui si materializzano, modificate dal filtro della pittura, le cortecce degli alberi o le livree a scaglie di pesci e rettili, i piumaggi dei volatili e le pelli maculate e reticolate di felini e giraffe.

Nel rimarcare la natura ibrida del processo creativo, l’attenzione del filosofo Roberto Marchesini, per il quale l’eccezionalità del confronto col mondo animale può produrre esperienze estetiche stimolanti a fronte più consueti contatti: è ciò che accade nel variegato mondo di Benuzzi che pratica una “cosmesi della pelle del mondo” (Alinovi) rigettando la neutralità della nuda cute umana. Più di un critico ha rimarcato come le patine cromatiche di Benuzzi inducano pensieri tattili: “posso toccare?” è la domanda ricorrente al punto che l’occhio, nell’avvicinarsi per toccare, finisce per perdersi nei meandri di manti boschivi e biomorfici. Un’empatia organica del derma, percepito come “soglia epifanica”, gioca qui un ruolo di rilievo. Questo lussureggiante immaginario fiabesco, neoliberty oppure orientalista a seconda dei casi, trova corpo mediante una magica ricetta segreta, un mix di smalti e farina, setacciata sul colore ancora fresco, quasi al punto da far lievitare la pellicola pittorica, dotarla di una porosità vellutata alla vista e scabra al tatto, paragonabile a una carezzevole livrea. Questo, malgrado una consistente fetta dell’arte contemporanea tenda a svilire la materia in favore del protagonismo degli artisti: “c’è l’artista ma manca l’opera” riflette perplesso il filosofo Mario Perniola.

Tra le opere in mostra, Dorsale e Dendroide Blossfeldt (1977) si stagliano sulle pareti simili a frastagliate isole cromatiche. Le superfici craquelé de L’anatra non trascorre la vita in solitudine (1987) e di Mar morto (1988) vogliono invece simulare un senso di siccità e si pongono come una divertita provocazione in chiave figurativa dei cretti di Burri. I pellicani postatomici di Sogno di cieli lontani, in fuga dal mondo, in fuga dal Correggio; maternità (2015) rappresentano poi il paradossale e allucinato tentativo di salvezza del mondo animale nei confronti di un pianeta sempre più antropizzato. Allo stesso modo in Materia viva, nell’alto dei cieli (1992) uno stormo di rondini “attraversa” una psichedelica spirale cosmica nella speranza di chissà quale palingenesi. Semplici epifanie animali si palesano ancora in Ponte, dove sognano le formiche verdi (2016) (omaggio al regista Werner Herzog) e in Paysage moralisé (2015) – “moralizzato” in quanto l’uomo non compare; entrambi sono ravvivati da fondi assoluti ottenuti tramite vernici da carrozzeria che luccicano simili a lacche. Significativa, infine, la presenza di Io e Pierpaolo ai giardini Margherita, opera iniziata nei primi anni ’80 ma portata a compimento solo di recente dedicata al tema degli homeless, dei barboni.

L’inaugurazione della mostra si terrà giovedì 7 settembre alle 17.00.
Per info: info@te-com.it o 340-6408427