Lo sciopero dello scorso week end dei riders torinesi di Foodora, piattaforma per consegne a domicilio, fa cadere il velo dello sfruttamento della gig economy. Con l’illusione di un lavoro dinamico, ecologico e divertente, si sfrutta manodopera con meccanismi identici allo sfruttamento “antico”: lavoro a cottimo, paghe bassissime, ostracismo verso i “piantagrane”. Un filo rosso, spiega Marta Fana, con quanto avviene nella logistica.

“Vuoi un lavoro dinamico, flessibile, divertente, ecologico, grazie al quale puoi anche fare sport, percepire un compenso ed avere il tempo di gestire i tuoi altri progetti personali?”. Potrebbe essere questo il claim dell’operazione di marketing di Foodora e di altre realtà della cosiddetta “gig economy“, la nuova frontiera del mercato del lavoro, che ai diritti e al posto fisso oppone il lavoro on demand, come se il lavoratore fosse un canale televisivo.

Se si solleva il velo del marketing, però, si scoprono meccanismi che di innovativo e di moderno hanno davvero poco: lavoro a cottimo, paghe bassissime e ostracismo verso i lavoratori sindacalizzati. Con la novità, questa sì, della spersonalizzazione del rapporto tra dipendente e datore di lavoro, dal momento che a “dare gli ordini”, in tutti i sensi, è l’algoritmo di una app.
Lo sciopero dello scorso week end dei riders torinesi di Foodora, piattaforma per le consegne a domicilio nata nel 2014 a Monaco di Baviera ed esportata anche in Italia, ci racconta delle nuove vie dello sfruttamento.

I “riders“, con questo termine “nuovista” vengono chiamati i fattorini che consegnano pizze e altri cibi in bicicletta per le città, hanno visto peggiorare le loro già poco edificanti condizioni di lavoro. Dai 5 euro all’ora che percepivano qualche settimana fa, il loro ingaggio si è trasformato ed è arrivato il cottimo: 2,7 euro a consegna.
In una testimonianza raccolta da Repubblica, un rider di Foodora racconta che per riuscire ad avere 600 euro di compenso ha dovuto percorrere 1900 kilometri.
Di malattia, straordinari e ferie, ovviamente, non si può parlare. Eppure l’azienda si comporta come nello schema del lavoro di subordinazione: impartisce ordini, impone una divisa, monitora la prestazione, valuta la performance, premia i migliori, rimprovera gli inefficienti, chiude gli account.

Alla protesta, l’azienda ha risposto fornendo un ulteriore elemento di come considera il lavoro: “Foodora non è un lavoro per sbarcare il lunario, ma un’opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio“.
Una risposta che è sembrata eccessiva perfino al ministro del Lavoro Giuliano Poletti si è detto sorpreso. Ha poi aggiunto, però, che i problemi dell’innovazione non si possono risolvere con una divisione in due campi: chi è a favore o chi è contro.

A rispondere a Poletti, con una lettera aperta, è stata la giornalista e dottoranda in economia Marta Fana. “Il problema – scrive Fana – non è che gli si maschera il lavoro per un hobby, il piacere di andare in bicicletta. Il problema che abbiamo è che il diritto del lavoro in Italia è stato macellato, dato in pasto a un tessuto imprenditoriale e più in generale a un sistema economico che rasenta, ma neppure troppo, il crimine contro la collettività”.

Ai nostri microfoni Fana spiega nel dettaglio che c’è un filo rosso tra quanto, ad esempio, accade nella logistica e nella grande distribuzione e quanto avviene nella gig economy. La questione, ancora una volta è l’organizzazione del lavoro che estrae plusvalore attraverso l’abbassamento del costo del lavoro, ormai minimo, e l’intensificarsi dei turni di lavoro, così come per la logistica della grande distribuzione. Il tutto, nel caso delle aziende per servizi on demand, coperto da una “retorica efficientista” che aleggia sulle nuove tecnologie. Una retorica che cade se si gratta la superficie: l’abbattimento dei costi di transazione è operata grazie al declassamento del lavoro.

Ancora una volta, come negli altri casi della logistica, si tenta la narrazione contrapposta tra i bisogni di chi usufruisce del servizio e i lavoratori che fattivamente lo forniscono.
Su questo versante Fana è ottimista, intravedendo la scintilla di un asse che si sta creando. “Le lotte cercano di sensibilizzare il cliente e di invitarlo al boicottaggio delle aziende che impongono quelle condizioni. Anche la retorica dei sindacati come ostacolo all’innovazione viene smontata dalle iniziative autorganizzate dei lavoratori”.

ASCOLTA L’INTERVENTO DI MARTA FANA:

OPPURE SCARICALO QUI