Ore di coda per visitare cluster e padiglioni, decine di scolaresche in visita e strutture avvenieristiche con musica ad alto volume. Siamo stati ad Expo per raccontarlo, ma non abbbiamo visto solo questo. Dietro all’esposizione universale che voleva “nutrire il pianeta”, migliaia di volontari hanno prestato gratuitamente il loro lavoro. E a cinque giorni dalla chiusura della kermesse, il futuro del sito espositivo non è ancora scritto.

Alla fine ci siamo andati. In un fine settimana soleggiato, zeppo di visitatori, abbiamo raggiunto Expo per raccontare cosa succede all’esposizione universale a una settimana dalla sua chiusura. Abbiamo visto, senza giri di parole, quello che ci aspettavamo.
Lo spettacolo, anzitutto. Padiglioni avvenieristici, con musica ad alto volume e una voglia tremenda di stupire. C’era la Coop col suo ‘supermercato del futuro’, c’era Slow Food, c’era Eataly. C’erano 145 Paesi, più impegnati a promuovere se stessi che a “nutrire il pianeta”. C’erano gli sponsor e le immancabili organizzazioni umanitarie. C’erano persino tre organizzazioni internazionali.
C’erano file lunghissime di corpi in attesa di visitare i padiglioni. Sei ore e mezza di coda per quello di Kazakistan e Giappone, più di quattro per quello degli Emirati Arabi. E poi decine di scolaresche in gita, coi cappellini colorati e le maestre a sbracciarsi per tenerle ordinate in coda.

Bilancio Expo 2015: Nutrire il Pianeta? Mah…

Abbiamo visto l’imponente Albero della Vita e Palazzo Italia, ma come questa Expo abbia contribuito a ‘nutrire il pianeta’ ci è proprio sfuggito. A non sfuggire è stata invece la maestosità delle strutture, impressionante quanto le contraddizioni logistiche che vedono il palazzetto Coca Cola a fianco al Parco della Biodiversità e al cluster delle zone aride. Scuserete la faciloneria, ma un po’ di ritegno non avrebbe guastato. Sull’opportunità, sovrassediamo.

In questi mesi, però, abbiamo anche letto, ascoltato, cercato di capire. Ve lo ricordate l’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Expo Spa (Sì: società per azioni), per il ricorso al lavoro gratuito di 18mila e 500 volontari? Noi sì, e allora ci è parso il caso di sentire cosa avevano da dirci loro, i volontari di Expo 2015. Qualcuno non vuole parlare. Poi fermiamo una ragazza, giovane, entusiasta dell’esperienza. “È un’esperienza incredibile”, confessa. Gli sbocchi lavorativi, dice, non le interessano. Questi 15 giorni a Expo le sono proprio piaciuti.

Abbiamo capito, comincia a farsi tardi e abbiamo un treno da prendere. Ci concediamo il tempo per un’ultima intervista. A una volontaria, di nuovo. Solo che questa volta l’età non è più quella della gioventù. Anche lei, comunque, si dice soddisfatta. L’intervista, in breve, diventa una chiacchierata. Lo sbocco lavorativo, per questa volontaria, conta eccome. “C’era un’idea molto chiara in questo senso – dice – Ed è una cosa che penso di condividere con gli altri volontari”. La visuale si allarga e la soddisfazione iniziale cede il passo a un bilancio meno roseo. “Ci sarebbe dovuto essere maggiore ritorno occupazionale – sostiene infatti la volontaria – Perchè un’iniziativa di questo tipo, che ha avuto stanziamenti governativi e regionali consistenti, doveva assorbire un po’ più di forza lavoro di quello che ha fatto”, e cioè “800 persone assunte a fronte di migliaia di volontari”. Della soddisfazione non c’è più traccia, e il finale sa, ancora, di occasione mancata. “Di fatto Expo ha fatto un po’ quello che ha voluto. In un’epoca di crisi e di disoccupazione dilagante, impiegare tutti questi volontari è una scelta un po’ paradossale, per non dire di peggio”, conclude.
L’ultima considerazione è a microfoni spenti. La volontaria rivela di aver discusso del lavoro gratuito (così si chiama) a Expo con la Cgil milanese. “Ma tanto – sarebbe stata la risposta – Tu stai lì a indirizzare le persone”. E dunque, per il sindacato, “indirizzare le persone” non sarebbe un vero lavoro, neanche se lo si fa per una Spa.

A cinque giorni dalla chiusura dell’esposizione universale, è ancora mistero sul futuro del sito espositivo. La gara del 15 novembre 2014 per la vendita dell’area, un milione dei metri quadrati, è andata deserta. Per acquistarla, Arexpo (fondazione che vede la partecipazione del Comune di Milano e della Regione Lombardia) ha pagato 150 milioni di euro a Fondazione Fiera Milano, proprietaria dei terreni. A questo punto è verosimile che l’area venga lottizzata e venduta pezzo a pezzo, acquirenti permettendo. A quale uso sarà destinata, però, non è dato sapere.