Deluse le attese per un titolo importante della storia della danza e della musica al Teatro Comunale. Petruška incanta musicalmente per la potenza travolgente dell’orchestrazione di Stravinskj e per l’ottima esecuzione del Direttore Fabrizio Ventura, ma applausi tiepidi per la coreografia di Virgilio Sieni.

Il teatro non è pieno, si vedono poltrone e palchi vuoti per una prima di un titolo di danza che a Bologna non approdava dal 2009, titolo che fa tremare le vene ai polsi agli appassionati di danza. Conoscendo il lavoro di Sieni, nessuno si aspettava certo di vedere qualche cosa di assimilabile alle coreografie di Fokine nè di trovare un novello Nižinskij, tuttavia si poteva immaginare una messa in scena che ripercorresse le annotazioni sceniche e narrative di Stravinskj seguendo i principi della ricerca sul linguaggio della danza propria della Compagnia Virgilio Sieni.

Sieni ha scelto invece una strada non narrativa, ha deciso di non mettere in scena i tre personaggi principali della storia di Petruška ovvero la Ballerina, il Moro e Petruška seguendo la trama quadro per quadro. La scena è unica costituita da tre quinte di velo di tulle color crema su tre lati del palco sormontate da file di fari che diffondevano una luce dal bianco a giallo con gradazioni di intensità.

I personaggi del balletto sono stati moltiplicati, in scena è apparso un intero gruppo di marionette vestite anch’esse con impalpabili abiti color crema e tutti con i volti coperti, come deformati da un tessuto leggero sopra il quale è stato apposto un trucco per occhi e bocca, guance rosse e sopracciglia a dare l’idea della maschera di un pupazzo, una marionetta incorporea.

La coreografia crea suggestioni di movimenti rapidissimi del gruppo centrati sulla disarticolazione del corpo, su un lavoro su gesti e figure collettive rese possibili da un gioco combinatorio centrato sullo studio dei movimenti delle singole articolazioni.

Sieni ha pensato Petruška come una marionetta in parte umana e in parte disumana, come se fosse dal principio il fantasma, l’ombra di se stesso, anzichè trasformarsi in esso solo nel finale, dopo  la morte per mano del Moro.
Tutto è leggero, incorporeo, eppure vitale nella dinamica del movimento collettivo che rispetta, specie nel primo quadro, le famose cascate di arpeggi stravinskiane. Vediamo a un tratto un interessante solo di un Petruška, quasi marionetta senza fili o uomo di paglia incapace di stare ritto sulle proprie gambe senz’ossa, senza sostegno.Un altro momento porta sulla scena la Ballerina, in un rapido trio con altre due figure larvali, indefinite.

Sebbene il lavoro coreografico non sia privo di interesse e di qualità artistica, non appaga il desiderio di essere sorpresi, di una danza che stia al pari con la genialità, l’ancora oggi dirompente novità (sebbene dal debutto sia passato più di un secolo), della musica di Stravinskij.

I quattro quadri di Petruška potrebbero fare serata anche solo musicalmente, per l’energia che si sprigiona da ogni suo frammento musicale, tuttavia nascendo come balletto e venendo oggi proposta nella sezione danza della stagione, pur presentando la partitura riveduta dal compositore nel 1947 in cui soppresse le didascalie sceniche e ridusse il settore dei fiati essenzializzando il tessuto sonoro e scurendone il carattere complessivo, manca allo spettatore una dimensione visiva e una coreografia capace di emozionare e di far entrare anche lo spettatore, simpaticamente, nella dinamica del movimento scenico coinvolgendolo in un’esperienza teatrale unica.

Il titolo di Stravinskij è preceduto da uno del compositore italiano Giacinto Scelsi, Chukrum del 1963 per orchestra d’archi in quattro quadri con una durata di diciotto minuti. Musicalmente interessante, basata sulla microtonlità con onde sonore che si espandono  e si placano. La composizione viene interpretata da Sieni come preludio alla nascita di Petruška, come la nascita dell’uomo. I danzatori si muovono dietro uno schermo- placenta e si avvicinano ed allontanano da questo elemento scenico facendo sì che delle loro parti del corpo se ne intuiscano solo alcune, poi se ne vedano altre, come in una sorta di ecografia. L’avvicinarsi e allontanarsi dei danzatori dallo schermo, simile ad un movimento dato dal respiro, è accompagnato dall’andare e venire della luce che crea effetti di trasparenza, di nebbia, o di piena visibilità delle macchie di colore sui costumi dei danzatori. I colori sono prevalentemente tenui: bianco, panna, crema con punte di rosso sia nelle luci che sui corpi danzanti.

Complessivamente la parte coreografica è piuttosto noiosa e ripetitiva, interessanti i momenti in cui i danzatori fanno sporgere le mani dallo schermo-placenta che appaiono nere, come fossero solo ossa in una radiografia per l’effetto di luce.

La serata di spettacolo dura complessivamente un ora e lascia piuttosto tiepido il pubblico, imbarazzato quasi dalle due proposte coreografiche. Applausi più convinti vanno all’orchestra e al Direttore  Ventura.

Aspettiamo che il Comunale di Bologna rafforzi le sue proposte di danza, eguagliando la qualità di quelle prettamente musicali, con produzioni di maggior impatto per non continuare a condannare il pubblico degli appassionati a viaggi verso altre città e altri teatri.