E’ stata senza dubbio una grande serata tra tradizione giamaicana e più moderne tendenze urban black per i circa milleduecento spettatori accorsi per Damian, trentanove anni il prossimo 21 luglio, nato da una relazione tra Bob Marley e l’allora Miss World Cindy Breakspeare.

Damian Marley all’Estragon

Ovviamente innamorato del carisma paterno, è cresciuto tra suoni roots reggae e le follie e la sensualità della dancehall giamaicana ma anche l’R&B, il neo-soul e la golden age dell‘hip hop e con queste influenze ha sviluppato un linguaggio vocale peculiare e ricco di toni che ha colpito nel segno attraverso le sue centellinate ma apprezzatissime uscite discografiche tra modernità e rilettura del catalogo musicale paterno.

Il breve set introduttivo del giovane giamaicano Black Am I (nativo tra l’altro di Nine Miles, il villaggio che diede i natali a Bob Marley) ha preparato l’atmosfera all’entrata di Damian sulle prime note della aggressiva ‘Make It Bun Dem’ seguita dal dancehall anthem ‘Set Up Shop’ e in questo inizio deciso ci si è resi conto che attraverso il suo flow micidiale Junior Gong non è affatto arrivato all’Estragon per offrire una prestazione di routine ma per lasciare il segno, accompagnato dai suoni tra essenza e magniloquenza della sua band in cui hanno spiccato il ‘bouncing’ del basso di Shiah Coore e le due dinamiche coriste.

Con ‘More Justice’ lo show ha virato verso il roots reggae più genuino prima di approdare ad un momento ricco di sentimento con ‘Beautiful’ ed ‘Affairs Of The Heart’ e l’autentica detonazione di ‘Despair’, cattivissimo brano dal capolavoro ‘Distant relatives’ realizzato nel 2010 insieme al rapper Nas: fino a questo momento l’impressione è stata quella di un Damian assai potente e concentratissimo sulle sue rime e la grande carica delle sue liriche ed anche il resto dello show ha confermato ciò. Il soprannome Junior Gong testimonia il legame con la figura paterna (Gong era un affettuoso appellativo di Bob per gli amici) e nonostante la differenza di approccio musicale c’è sicuramente molto di quel carisma nel modo in cui Damian calca la scena.

Il volto del poeta reggae Dennis Brown è quindi apparso sullo schermo all’attacco della lenta e sinuosa ‘Land Of Promise’ basata sulla sua immensa ‘Promised Land’. Nessun riferimento all’opera paterna fino alla citazione di ‘Punky Reggae Party’ in ‘Love & Unity’, a una toccante resa del medley composto dai classici di Bob ‘War’ e ‘No More Trouble’ ed al grintoso aggiornamento di ‘Exodus’ in ‘Move!’.

La dancehall massive è esplosa con ‘Mission’ con tanto di citazione di ‘Shoot out’ di Michael Rose, un altro momento più introspettivo ma assai riuscito è stato ‘Patience’ e grande risalto all’interno dello show ha avuto la nuovissima ‘Medication’ prima che la dimensione corale dei leggendari shows di Bob Marley si riaffacciasse attraverso ‘Could You Be Loved’ e ‘Is This Love?’ ad aprire il lungo bis.

Significativa comunque la posizione nell’encore per le nuove ‘Everybody Wants To Be Somebody’ e ‘Caution’ (quest’ultima graffiantissima) prima di un intenso finale ma senza sorprese con l’immensa ‘Road To Zion’ ed il delirio collettivo di ‘Welcome To Jamrock’ a mandare tutti a casa piuttosto sudati.

Oltre che essere il suo compleanno il prossimo 21 luglio è la data di uscita del suo attesissimo nuovo lavoro ‘Stony Hill’ di cui ancora non si sa la tracklist ma di cui faranno parte probabilmente le novità ascoltate durante il concerto: alla soglia dei quaranta Damian è atteso ad una grande prova di maturità e se la statura di questo show tra grande energia e urgenza comunicativa è da considerare come un segnale siamo sicuri che il 2017 sarà un radioso anno per questo grande artista.

Pier Tosi