Una commedia che porta a ridere sinceramente sulle difficoltà dei rapporti familiari, sulla reciproca estraneità dei figli per un parde e del parde per i figli, capace di affondare elegantemente il coltello sulle esistenze senza relazioni sociali di tanti anziani.

E’ l’uso delle parole che salta all’orecchio assistendo alla rappresentazione di Si nota all’imbrunire, parole che guizzano come illuminate da luce nuova, parole consuete e altre meno usate, dimenticate in un angolo del cervello il cui ascolto sorprende, talora diverte per il delizioso gioco di costruzione dei personaggi attraverso il linguaggio.

C’è la figlia maniaca delll’ordine e pignola nella scelta delle parole, parole che, nel suo mondo, devono descrivere con esattezza la realtà delle cose. Ne risulta un personaggio deliziosamente e involontariamente poetico oltre che pedantemente capace di colpire al cuore con la parola corretta per ogni situazione. La sua crociata contro l’uso che il padre fa del congiuntivo imperfetto è esilarante e definisce il passaggio generazionale dalla scelta dei tempi verbali: il congiuntivo imperfetto invecchia, l’imperativo esortativo è contemporaneo.

C’è la figlia aspirante poetessa che, al contrario della sorella, non ha nel parlare nessuna attenzione alla parola, eppure sogna di poter eguagliare nei versi Caproni e Kavafis spacciando i loro versi per suoi, un pò per gioco e un pò per incapacità di buttare giù dei versi che reggano il paragone.

C’è il figlio maschio disoccupato e pigro, schiacciato dall’incombente giudizio paterno che riempie la sua ansia da prestazione filiare mangiando saccottini e proponendo battute divertenti per coprire con una risata i suoi e gli altrui difetti. Memorabile la battuta “il capochinismo è un allenamento per la domenica”  rivolta tanto alla sua tenuta “pigiamata” quanto all’atteggiamento paterno di stare a capo chino.

C’è il fratello di Silvio, arzillo anziano amante della moto e della velocità, quanto delle citazioni e delle orazioni interminabili.

C’è infine Silvio, il protagonista, un vedovo che ha deciso di autoesiliarsi in campagna, vicino Napoli, lasciando i figli a Milano, solo apparentemente per scelta, vittima dello spopolamento non solo del paese reale in cui abita, ma del suo paesaggio interiore, dal momento che tutti gli affetti sono lontani o non più in vita.

La drammaturga e regista Lucia Calamaro ha dato vita a una commedia, se pure dai tragici risvolti, che fa ridere di gusto il pubblico che si riconosce necessariamente nelle figure ora del solitario genitore, Silvio Orlando,  lacerato dal desiderio di compagnia e pure dal fastidio della compagnia stessa dei consanguinei, ora dei figli, preoccupati per la salute del padre ed al contempo consumati dal giudizio costante a cui le loro scelte di vita vengono sottoposte durante le brevi visite nella casa paterna.

Fino alla fine siamo convinti di assistere a una riunione familiare, ad un progressivo riavvicinamento tra quei figli ormai divenuti “i più dolorosi stranieri” e l’anziano, che li vede e li sente di rado. Sembra una giornata reale di “normali” litigi tra un padre con alte aspettative dalle carriere dei figli e i figli che stentano a trovare il loro posto nella società. Si comprende che il rapporto ha qualcosa di malato, talora per colpa degli uni, talaltra per colpa dell’altro ed il risultato appare, agli occhi di Silvio, che i tre figli si comportino più da “suocere” che non da premurosi consanguinei.

L’amara realtà è che Silvio è completamente solo, che la sua solitudine interiore è talmente connaturata al suo essere da immaginare le conversazioni con i suoi cari, da inscenare i litigi, i momenti conviviali, le risate nella sua testa lontano da ogni effettivo contatto umano. Solo.

Lucia Calamaro ha voluto indagare la dilagante “solitudine sociale” come la chiama la socio- psicologia ormai diventata, secondo le sue parole, “un’epidemia di solitudine”, un male insidioso che coinvolge gli anziani, ma anche i giovani (spesso fagocitati dalle dipendenze da web), contrastandolo con l’ironia e con l’invito alla socialità stessa dell’evento teatrale, augurandosi che quanti assistano allo spettacolo sentano poi l’esigenza di chiamare o andare a trovare un genitore solo, un amico non visto da tempo, popolando di affetto il suo paesaggio spopolato.

Ottima la compagnia teatrale guidata da Calamaro, bravi i tre interpreti dei figli: Riccardo Goretti, Alice Redini (la poetessa), Maria Laura Rondanini (la manica dell’ordine). Sincero e convincente Silvio Orlando. Pulita, elegante, sobria la scena e la regia. Nessuna sbavatura. Al centro la parola e il pensiero.

In scena all’Arena del Sole  fino al 19 aprile ore 21.