Trovato ieri un primo accordo tra Governo, sindacati ed Electrolux. L’azienda ha escluso esuberi sino al 2017 ed ha annunciato investimenti per 150 milioni di euro. Per i sindacati è una vittoria della mobilitazione, ma permangono dubbi su orari di lavoro e volumi produttivi.

La multinazionale degli elettrodomestici, Electrolux, fa marcia indietro e ritira i propositi manifestati alla fine di gennaio. Il teatro dove la retromarcia si è concretizzata è il Ministero dello Sviluppo Economico dove ieri, dopo 4 ore di discussione con le parti sindacali e il ministro competente, la proprietà si è detta pronta ad escludere ogni ipotesi di esubero, mantenendo attivi i 4 stabilimenti italiani, e ha rilanciato promettendo un investimento da 150 milioni di euro.

La vicenda comincia in ottobre, ma è a gennaio che deflagra sui media nazionali. L’azienda aveva minacciato di delocalizzare se l’esecutivo non avesse abbassato la tassazione sul lavoro. In alternativa la multinazionale aveva proposto che i salari fossero diminuiti del 50%, trasformandoli in “stipendi polacchi”, utilizzando la felice definizione dei sindacati. Un attacco così forte al reddito dei 5000 dipendenti Electrolux, e delle loro famiglie, non era sfuggito per merito e metodo alla stampa e ai sindacati. Dal quel momento più di 150 ore di sciopero con blocco delle portinerie e presidi in tutti gli stabilimenti, hanno portato al ripensamento dell’azienda, reso effettivo nel tavolo di trattativa di ieri a Roma. La soluzione trovata, è quella dei contratti di solidarietà con le ore lavorative giornaliere che scenderanno da 8 a 6.

Ma la questione non è ancora chiusa perchè resta da capire in cosa consisterà il nuovo piano industriale promesso dall’azienda e come si concretizzerà la diminuzione dei volumi di produzione nello stabilimento di Porcìa.

“Il cambiamento di scenario è quello richiesto dalle lotte dei lavoratori, ma deve ancora essere messo nero su bianco. Deve essere riconfermato negli incontri che avremo il 16 e il 28 di aprile.”afferma ai nostri microfoni Augustin Breda, delegato Fiom.

“Rimaniamo in uno stato di agitazione -continua- perché abbiamo come sempre la paura che tra le dichiarazioni fatte nelle sedi istituzionali e gli atti concreti ci possa essere uno iato per noi non sostenibile.Sappiamo che l’azienda insiste ancora su parziali questioni di salario, insiste soprattutto sul peggioramento delle condizioni di lavoro prestative.”

E proprio per sottolineare come non tutto sia risolto, Breda chiude le porte ad ogni ipotesi di accelerazione dei ritmi. “Per effetto della legge Fornero, -conclude- che impedisce ai lavoratori di andare in pensione e alle aziende di assumere le giovani generazioni, abbiamo dei limiti fisici, psicofisici, che ci impediscono qualsiasi ragionamento attorno a temi come quello di accellerare i ritmi di lavoro come vorrebbe l’impresa.