Il sequestro, la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni ha acceso i riflettori sulla repressione del regime egiziano di Al Sisi. Sono almeno 1600 i desapareçidos legati al movimento della rivolta del 2011 e alla dissidenza al governo militare. La paranoia del regime si manifesta anche con un clima di xenofobia. L’intervista a Giuseppe Acconcia.

Desapareçidos egiziani: ce ne parla Giuseppe Acconcia

Dalle colonne de il Manifesto e nelle interviste che gli abbiamo fatto (puoi leggerli qui, qui, qui e qui), Giuseppe Acconcia ha denunciato più volte quello che stava accadendo in Egitto, in particolare dal golpe del 2013 che ha deposto Mohamed Morsi dei Fratelli Musulmani in favore dell’attuale presidente Al Sisi.
Ci sono però voluti il rapimento, la tortura e l’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni per fare destare il governo italiano, indaffarato a stringere accordi commerciali miliardari con il regime egiziano.

“Il lavoro di ricerca sui sindacati indipendenti che stava facendo Giulio – osserva Acconcia – è forse il modo migliore per raccontare la repressione del regime”. Secondo il giornalista, però, Regeni non è stato arrestato e ucciso per il suo lavoro, ma per una sequenza di avvenimenti drammatica.
In particolare, è probabile che Giulio sia stato oggetto di uno dei rastrellamenti che la polizia egiziana compie, specie in vista del 25 gennaio, anniversario della rivolta del 2011. Invece di essere rilasciato, come spesso avviene ai turisti, i servizi segreti, che spesso sono infiltrati nella polizia, potrebbero avere ricostruito la rete di contatti del ricercatore. Il resto, secondo Acconcia, è da ascrivere alle ordinarie violenze e torture delle forze dell’ordine egiziane.

“La morte di Giulio, che ci ha lasciati senza parole – sottolinea il giornalista – non deve però fermare il racconto di quanto sta accadendo in Egitto”.
In particolare, secondo alcuni report, sono 1600 i desapareçidos nel Paese. Aggiunto ai dissidenti arrestati e incarcerati, il dato dà le dimensioni della repressione del regime di Al Sisi.
“Lo scontento che aumenta nel Paese – continua Acconcia – induce il governo ad utilizzare il pugno di ferro”.

Accanto alla repressione che colpisce i cittadini egiziani, però, c’è anche un clima di xenofobia che registra alcuni picchi e che porta qualunque straniero ad essere sospettato di essere un fomentatore delle rivolte o addirittura un agente dei servizi segreti.
In particolare, in alcuni momenti, il sentimento di odio verso gli stranieri è stato rivolto contro siriani e palestinesi, perché ritenuti simpatizzanti del presidente deposto, Morsi, e dei Fratelli Musulmani.
La platea si allarga verso chiunque non parli arabo per strada, ma solitamente, con tragiche eccezioni, per i turisti esistono ancora delle tutele e, dopo un indebito arresto, vengono rilasciati.