Dopo le polemiche politiche, Radio Città Fujiko dedica uno speciale al tema della cittadinanza ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri. Sotto la lente d’ingrandimento le falsità e le strumentalizzazioni sul tema, cosa dice la legge, i problemi reali, la campagna “L’Italia sono anch’io” e una testimonianza diretta.

Hanno la “S” bolognese se sono nati nella nostra città, l’inflessione veneta se sono nati a Padova e siciliana se sono nati a Palermo, parlano in bergamasco se, come Mario Balotelli, sono nati e cresciuti nella città lombarda. Frequentano le nostre scuole e fanno gli stessi strafalcioni dei loro compagni di banco, ma in molti casi parlano meglio e sono più preparati.
Sono le “seconde generazioni“, figli di stranieri nati e cresciuti nel nostro Paese, ma che secondo il nostro ordinamento non sono italiani almeno fino a 18 anni.

La questione della cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia è tornata prepotentemente agli onori delle cronache per le polemiche nate in seno alla politica, ma è un tema su cui aleggia parecchia confusione e ciò fa scaldare inutilmente gli animi su presupposti sbagliati, informazioni sbagliate e leggende metropolitane.
Radio Città Fujiko, con questo speciale, cerca di raccontare la realtà e testimoniare le battaglie su questo tema.

LA CONFUSIONE SULL’ARGOMENTO
“Ma come, non hanno già la cittadinanza?”. È la domanda che si è sentita rivolgere varie volte Anna Rosa Rossi dello Sportello Migranti della Cgil di Bologna dalle persone che si fermavano ai banchetti della Campagna “L’Italia sono anch’io”. Una domanda tanto semplice quanto indicativa della scarsa informazione che vige sulla materia e che viene strumentalmente cavalcata da alcuni partiti politici.
L’opinione pubblica è immersa fino al collo in un calderone che mescola temi molto diversi fra loro: la cittadinanza dei genitori emigrati in Italia, quella dei figli nati all’estero da genitori stranieri, quella dei figli nati all’estero da genitori italiani e infine quella di cui stiamo parlando: la cittadinanza dei bambini nati in Italia dai genitori stranieri.

LA LEGGE SULLA CITTADINANZA
Tutto nasce da una legge, la 91/1992, che regolamenta il diritto di cittadinanza. Il principio che fu affermato vent’anni fa era (ed è) quello dello ius sanguinis, per cui si ha diritto automatico alla cittadinanza italiana solo se si è figli di italiani. In questo modo un ragazzo che, ad esempio, è nato e cresciuto in Argentina da genitori italiani emigrati là, risulta essere cittadino italiano, anche se non ha mai visto il Belpaese.
Allo stesso modo, una ragazza nata e cresciuta, ad esempio, all’ombra delle Due Torri da genitori marocchini non può considerarsi italiana almeno fino ai 18 anni quando, raggiunta la maggiore età, potrà fare domanda per ottenere la cittadinanza. Che non è così scontato e automatico le venga concessa.
Il rischio concreto è che un ragazzo che compie 18 anni si ritrovi, di punto in bianco, ad essere “clandestino in casa propria” e debba quindi ottenere il permesso di soggiorno per studio o lavoro. Procedure lunghe, costose ed ingiuste per chi è nato e cresciuto qui.

Diverso sarebbe, ad esempio, se venisse applicato lo ius soli, secondo cui si è cittadini del Paese in cui si nasce. Un principio che viene applicato in diversi Paesi europei e sul quale si è speso anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
L’Europa, sempre meno unita dalla crisi economica, non lo sembra nemmeno in materia di immigrazione. Per avere una panoramica sulle legislazioni dei diversi Paesi dell’Unione, vi consigliamo lo speciale di Melting Pot sul tema.

Quanto ai genitori, la cittadinanza si può ottenere dopo il soggiorno nel nostro Paese per almeno 10 anni. Per le richieste di concessione della cittadinanza per matrimonio di un coniuge straniero con cittadino italiano occorrono due anni di residenza legale (iscrizione anagrafica) o tre anni se residente all’estero. Tale termine è ridotto ad 1 anno in presenza di figli, anche adottivi.

I PRIMI PROBLEMI: CLANDESTINI “IN CASA PROPRIA”
Per qualcuno la cittadinanza italiana per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri non è un problema che vale la pena discutere.

Le rogne e anche i rischi che corrono molti ragazze e ragazzi quotidianamente, invece, rischiano anche di compromettere il loro futuro.
Al compimento del 18° anno, infatti, possono richiedere la cittadinanza, ma sarebbe invece più corretto dire che devono richiederla. Alle seconde generazioni, infatti, viene concesso solo un anno di tempo, trascorso il quale vengono considerati a tutti gli effetti stranieri.
Non avere la cittadinanza da maggiorenni comporta quello che la legge Bossi-Fini impone a tutti i migranti: la necessità del rilascio del permesso di soggiorno per studio o per lavoro. Burocrazia e costi che si aggirano intorno ai 75 euro.
Se ciò non viene fatto si diventa a tutti gli effetti clandestini. Questo status, come sappiamo, è soggetto ad ordinanze di rimpatrio, ma il paradosso è che questi ragazzi sono nati in Italia ed è dunque questa la loro Patria.
Ancor peggio è il rischio di finire nei Cie, i Centri di Identificazione ed Espulsione in cui vengono reclusi i migranti senza permesso di soggiorno.
È quanto è successo a Nadia, una ragazza di 19 anni nata in Italia e la cui storia viene raccontata sul sito di Seconde Generazioni.

I problemi, però, possono cominciare molto prima della maggiore età. I minori, infatti, sono indissolubilmente legati alle sorti dei loro genitori che, qualora perdessero il lavoro, rischierebbero di essere rimpatriati. Fogli di via verso un Paese che in molti casi non hanno mai visto. Anche se solo uno dei due genitori venisse rimandato nel Paese di origine, il figlio verrebbe escluso dalla possibilità di fare la domanda di cittadinanza.

LE STORTURE E I PROBLEMI QUOTIDIANI
Un altro capitolo, non meno importante, dei problemi che le seconde generazioni devono affrontare, riguarda la quotidianità.
I ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, infatti, non possono fare sport agonistici; non possono servire il Paese con il Servizio Civile (anche se una recente sentenza dice il contrario); non possono abbandonare il territorio italiano per più di sei mesi, venendo così esclusi dalle possibilità di studio o lavoro all’estero; hanno problemi per le gite scolastiche all’estero, dal momento che non sono considerati cittadini dell’area Schengen; hanno problemi anche a trovare lavoro.

LE DIMENSIONI DEL FENOMENO
Sono circa cinque milioni li stranieri presenti sul suolo italiano. I figli di cittadini stranieri sono circa un milione, di cui circa 600mila sono nati in Italia.
Sul territorio di Bologna e Provincia sono 22mila i minori, di cui 6200 sono nati qui e rappresentano il 33% delle nascite del territorio.

LA CAMPAGNA L’ITALIA SONO ANCH’IO
La campagna nazionale è promossa da 19 organizzazioni della società civile: Acli, Arci, Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Emmaus Italia, Fcei – Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 – Seconde Generazioni, Tavola della Pace e Coordinamento nazionale degli enti per la pace e i diritti umani, Terra del Fuoco, Ugl Sei e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore è il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio.

La Campagna consiste nella raccolta di firme per la presentazione di due leggi di iniziativa popolare che riguardano il tema della cittadinanza.
La prima legge, come spiega Antonio Russo dell’Acli, chiede proprio che venga riconosciuta la cittadinanza italiana alle persone nate in Italia da cittadini stranieri. Chiede inoltre che venga abbassata a 5 anni la soglia per presentare la richiesta.
La seconda proposta legislativa chiede invece il diritto di voto amministrativo ai migranti regolarmente residenti in Italia.

LA STORIA DI SANA
Sana è nata a Bologna e risiede in provincia. Se si ascolta solo la sua voce è davvero difficile immaginare che sia figlia di marocchini. A tradire le origini una pelle mulatta.
Sana fa parte della sezione giovani di “Hilal“, associazione di cultura marocchina, e si batte per il riconoscimento del diritto di cittadinanza.
“Sei considerato immigrato anche se non le sei, perché tu non hai deciso di emigrare come hanno fatto i tuoi genitori, non hai preso le valigie andandotene dal tuo Paese”, racconta ai nostri microfoni.
È proprio dal punto di vista concettuale, secondo la ragazza, che non è giusto considerare immigrati i ragazzi delle seconde generazioni.
La condizione di queste persone, poi, spesso è conflittuale anche rispetto al Paese d’origine dei genitori: “Quando vado in Marocco non mi considerano marocchina, ma dicono che sono italiana e io mi sento italiana”.
Stranieri in Italia e stranieri all’estero: non pochi i problemi d’identità che questa condizione genera in loro.