Di fronte all’ennesimo femminicidio e all’ennesima narrazione tossica della stampa c’è un gran bisogno di realtà che lavorino sul piano culturale e non solo per contrastare la violenza. Eppure a Roma il centro antiviolenza Lucha Y Siesta rischia lo sgombero. Nella capitale solo 23 posti per accogliere donne che fuoriescono dalla violenza. Attivata una campagna di azionariato popolare.

L’assassino di Elisa Pomarelli, Massimo Sebastiani, definito un “gigante buono“, pentito (dopo due settimane di fuga) e spinto dal troppo amore. La stampa continua a dare il peggio di sè nel racconto dei femminicidi che avvengono nel nostro Paese e dimostra una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, quanto il patriarcato sia ben radicato nelle redazioni e, di conseguenza, quanto bisogno ci sia di un lavoro culturale contro la violenza maschile.
Purtroppo, però, le cose vanno nella direzione opposta e anche gli spazi culturali esistenti rischiano la chiusura.

È quello che sta accandendo al centro antiviolenza di Roma Lucha Y Siesta, che rischia lo sgombero perché l’immobile in cui ha sede dal 2008, di proprietà dell’Atac, deve essere alienato per ripianare i debiti della società.
“Il centro è nato nel 2008 da una riappropriazione – racconta ai nostri microfoni Michela, un’attivista di Lucha Y Siesta – e, oltre ad un lavoro di sensibilizzazione e prevenzione, anche nelle scuole, attualmente dispone di 14 stanze per accogliere donne che fuoriescono dalla violenza”. Posti preziosissimi perché, come ha fatto sapere nei giorni scorsi Lorenza Fruci, delegata della sindaca Virginia Raggi alle Pari Opportunità, in tutta Roma i posti disponibili per accogliere donne vittima di violenza sono appena 23.

Il prossimo 15 settembre potrebbero essere staccate le utenze della struttura, che non è la prima a rischiare lo sgombero sotto la giunta Raggi. Un percorso simile lo ha subito la Casa Internazionale delle Donne e, anche il quel caso, l’interlocuzione con l’Amministrazione capitolina è stata difficoltosa e piena di ostacoli.
“Dopo due anni il dialogo con le istituzioni non ha prodotto risultati – sottolinea Michela – per questo motivo ci siamo attivate per dare vita ad un percorso che possa portare ad acquistare l’immobile”.
Oltre a varie personalità del mondo femminista, a dimostrare interesse per le sorti di Lucha Y Siesta sono anche alcuni soci di Banca Etica, che stanno studiando come far rientrare il progetto in quelli finanziabili dall’istituto. Al tempo stesso si pensa ad una sorta di azionariato popolare, con una raccolta fondi che dovrebbe partire su Produzioni dal Basso.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MICHELA: