Davide Falcioni, il giornalista di Fanpage.it condannato in appello per concorso in violazione di domicilio mentre raccontava una protesta No Tav, commenta ai nostri microfoni l’assurda vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto. L’accusa aveva chiesto l’assoluzione. “Non ho mai voluto fare la vittima, ma questo è un messaggio a chi vuole raccontare la Val di Susa”. E sul suo lavoro: “Continuerò a farlo al meglio”.

Davide Falcioni condannato, ma non si arrende

“Ho ricevuto tanta solidarietà dai lettori e l’incoraggiamento del mio giornale, che è Fanpage.it, nel continuare a fare il mio lavoro al meglio. È quello che farò, perché voglio farlo”.
È così che Davide Falcioni commenta ai nostri microfoni la sentenza di appello che ieri ha confermato la condanna per concorso in violazione di domicilio ai suoi danni. Quattro mesi di reclusione per aver seguito nel 2012  alcuni attivisti No Tav all’interno della sede torinese di Geovalsusa, società nel consorzio dei costruttori della tratta ad ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione.

Una vicenda giudiziaria assurda, ancora di più perché ieri l’accusa aveva chiesto l’assoluzione del giornalista, mentre il giudice ha ritenuto di confermare la condanna di primo grado.
A nulla è servito, dunque, spiegare la differenza tra l’azione degli attivisti No Tav – che comunque nel resoconto di Falcioni è stata breve e pacifica – all’interno dello studio di consulenza e ciò che invece il giornalista stava facendo (in quel caso per AgoraVox), cioè raccontare quello che stava accadendo, senza che qualcuno gli avesse chiesto di uscire.

Un caso simile era stato evocato in aula dall’avvocato del giornalista, Gianluca Vitale, che ha riportato una sentenza di febbraio della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), sul caso di un giornalista ucraino che aveva preso parte a una manifestazione vietata a San Pietroburgo.
I giudici europei, nell’assolvere il giornalista ucraino, avevano riaffermato il diritto di andare a cercare le notizie.
Falcioni ora andrà in Cassazione e si auspica di non dover arrivare fino alla corte europea per concludere questa vicenda.

Una chiave di lettura di quello che è accaduto, forse, va cercata nel tema di cui Falcioni si stava occupando. Il Tav è un argomento di grande tensione politica e giudiziaria in Italia e il giornalista non è il primo ad essere caduto nella rete della repressione su questo argomento.
Una disavventura simile può certamente raccontarla Roberta Chiroli, ex studentessa finita a processo (condannata in primo grado e poi assolta in appello) per concorso morale in violenza e invasione di terreni mentre stava studiando sul campo l’organizzazione degli attivisti in Val di Susa, raccontata poi nella tesi di laurea.

“Ho sempre cercato di non esasperare questo lato della vicenda – sottolinea Falcioni ai nostri microfoni – perché è facile scadere nel vittimismo o nel complottismo. Però questa volta è diverso, poiché c’era una richiesta esplicita di assoluzione da parte della Procura generale. Quindi non trovo altre motivazioni se non la volontà di mandare un messaggio. Non a me, che vivo a 800 chilometri e la Val di Susa non è il mio campo di azione, ma a tutti quei giornalisti che in futuro vogliano recarsi in quel territorio per raccontare quello che accade”.

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