Merola e Frascaroli indagati, La Torre e Mazzanti querelati. È guerra aperta tra Procura e Amministrazione sul tema della casa e delle occupazioni abitative. La politica cede il passo alla magistratura, che detta la linea sull’approccio per affrontare il problema.

Sul fronte casa è guerra aperta tra PD e SEL

Prima l’indagine su Virginio Merola, sospettato di abuso d’ufficio per aver ordinato di riallacciare l’acqua ad un’occupazione abitativa, poi l’indagine su Amelia Frascaroli, confermata oggi anche se non si conoscono le ipotesi di reato, per aver riconosciuto che all’interno delle occupazioni si crea “valore sociale”. Poi le querele ai capigruppo di Pd e Sel, Claudio Mazzanti e Cathy La Torre, per aver espresso perplessità sull’indagine a carico di Merola.
Attorno al tema dell’emergenza abitativa e delle occupazioni si sta registrando una guerra aperta tra la Procura di Bologna e l’Amministrazione comunale. Una guerra che dura ormai da mesi e che vede come protagonisti, dalle parti di piazza dei Tribunali, il procuratore aggiunto Valter Giovannini e i pm Antonella Scandellari e Antonello Gustapane.

Anche se il sindaco Merola non ha mai difeso o favorito pubblicamente le occupazioni, ribadendo anzi a più riprese che si tratta di atti illegali che meritano lo sgombero, anche se non ci sono mai state trattative per regolarizzare gli spazi occupati, sulla scia di esperienze di altre città, e anche se il riallaccio dell’acqua è stato motivato dallo stesso primo cittadino come un atto per contrastare una potenziale emergenza sanitaria e per rispondere ad un diritto umano fondamentale, alla Procura di Bologna ciò non basta.
Ed è in questo senso che – più o meno indirettamente – la linea e l’approccio da seguire sul problema politico dell’emergenza abitativa li sta dettando la magistratura.

Se per il riallaccio dell’acqua c’è una formale controversia giuridica, con il famoso articolo 5 del Piano Casa di Lupi e Renzi, da più parti contestato e ritenuto incostituzionale, ben diversa è la questione che riguarda, da un lato, la frase di Amelia Frascaroli e, dall’altro, quelle di Mazzanti e La Torre.
Affermare che all’interno delle occupazioni abitative si sia creato valore sociale, se non si sta solamente dietro ai fascicoli ma si verifica di persona, è una semplice constatazione. Anche le cronache di diverse testate hanno riportato molti esempi di mutualismo formatisi all’interno degli stabili occupati. Ipotizzare che le parole di Frascaroli possano suonare come un’istigazione a delinquere, quindi, significa dare una precisa interpretazione politica, non scevra da pregiudizio. Cosa che non compete alla Procura.

Allo stesso modo, ritenere diffamatorie le critiche avanzate da Mazzanti e La Torre – che hanno rispettivamente definito “surreale” e “folle” l’inchiesta sul riallaccio dell’acqua – significa non accettare che vi possano essere forme di dissenso, quasi come vi fosse ancora il reato di “lesa maestà”.
I due capigruppo non hanno certo utilizzato espressioni di berlusconiana memoria, quando la magistratura veniva definita un “cancro”. In altre circostanze, anzi, i due consiglieri comunali (La Torre è pure avvocata), hanno espresso fiducia ed apprezzamento per il lavoro della magistratura. Eppure, quest’ultima, sembra non voler accettare critiche, pena l’utilizzo della stessa arma e dello stesso potere che esercita.

Il quadro attuale, dunque, registra uno squilibrio di potere pericoloso, non solo potenzialmente ma già fattivamente.
Se è vero che i giudici applicano semplicemente la legge e non possono essere attaccati direttamente, in quanto strumento applicativo di norme decise altrove, è altrettanto vero che per cambiare leggi ingiuste occorre – è lapalissiano – anzitutto affermare politicamente il proprio dissenso.
Mai come negli ultimi tempi, a Bologna, la distanza tra i concetti di “legale” e “giusto” è stata così ampia. E, spiace dirlo, la responsabilità è anche di una politica pavida e incapace.