Dall’impeachment di Dilma Rousseff fino alla carcerazione di Luiz Inácio Lula da Silva, in Brasile è in corso una sorta di golpe soft, che utilizza strumenti giuridici e parlamentari per eliminare gli avversari. Rousseff non era indagata e il processo a carico di Lula si è svolto in assenza di sostanziali prove. Schiaccianti, invece, le prove della corruzione del presidente Michel Temer, ma senza che nessuno proceda.

Il Brasile di oggi ci insegna che per attuare un colpo di Stato non è necessario l’esercito, ma è sufficiente un sapiente uso dei regolamenti parlamentari e della magistratura per rovesciare il potere e mettere fuori gioco gli avversari politici.
È proprio completamente politica la chiave con cui bisogna leggere quanto sta accadendo nel Paese negli ultimi anni e che ha condotto fino all’arresto e alla carcerazione dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che si è consegnato alle autorità due giorni fa, accompagnato da una folta folla di sostenitori.

“I principali attacchi sono cominciati dopo la campagna elettorale del 2013, che ha visto vincitrice Dilma Rousseff – spiega ai nostri microfoni il giornalista Luigi Spera – perché non ci si aspettava che potesse vincere. Da quel momento sono partite una serie di campagne giudiziarie che volevano portare in luce la corruzione in Brasile, che nel Paese è qualcosa di strutturale e istituzionalizzato”.
Dalle diverse inchieste che si sono susseguite è emerso un sistema di corrutele che ha visto al centro tutti i partiti, tutti i gruppi parlamentari e anche il presidente Michel Temer, che ha sostituito Rousseff dopo l’impeachment. “Nonostante questo – spiega il giornalista – nonostante non fosse coinvolta né indagata direttamente, Dilma è stata allontanata dalla carica, mentre al suo posto è andato Temer che è profondamente colpito da questa inchiesta”.

Allo stesso modo il processo che ha coinvolto Lula, accusato di essere stato corrotto attraverso il dono di un appartamento, è giunto a condanna senza prove sostanziali.
Ed è qui che Spera suggerisce una lettura politica: “Lula in Brasile ha sempre rappresentato l’anti-sistema e, che lo si apprezzi o meno e che si riconosca o meno quanto ha fatto per la riduzione della povertà, si è messo contro l’elite post-coloniale bianca che ha sempre gestito il potere“.
Lo stesso giudice Sergio Moro, considerato il capo di una sorta di Mani Pulite brasiliana, è sostenitore del partito di Temer.
L’obiettivo, dunque, era mettere fuori gioco il candidato del Partido dos Trabalhadores.

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUIGI SPERA: