Il “caso JMBG”, che ha scatenato nelle scorse settimane la  cosiddetta Rivoluzione dei bebé (o “Bebolucija”) nelle piazze della Bosnia-Erzegovina, è tutt’altro che concluso. Sono terminate – almeno per ora – le manifestazioni, ma si stanno verificando alcuni colpi di scena nelle aule del Parlamento e nei Tribunali. L’articolo di Alfredo Sasso di East Journal.

Ancora in corso la Bebolucija nelle piazze della Bosnia

Vediamo perché, non prima di ripercorrere brevemente le tappe del caso.

JMBG sta per “Numero di Identificazione Personale”, una sorta di codice fiscale, necessario per ottenere i documenti di identità e le prestazioni sociali. Il “caso” inizia il 12 febbraio 2013. Una sentenza della Corte Costituzionale bosniaca invalida la legge che regola il JMBG per un problema di natura apparentemente procedurale – il cambio della denominazione di alcuni comuni in seguito alla guerra degli anni ‘90 – . Ma in Parlamento i partiti non si accordano sulla riforma, per dissidi sulle modalità (i partiti serbi vogliono che l’assegnazione dei numeri rispetti la divisione etno-territoriale del paese, cioe’ tra Repubblika Srpska e Federazione di BiH. Partiti bosgnacchi e “civici”, invece, vogliono mantenere un sistema unico nel paese).

Lo stallo determina il blocco dell’emissione dei numeri – e dunque dei documenti – a partire dal giorno della sentenza, lasciando dunque “senza identità”  i bambini nati dopo il 12 febbraio, e impedendo così l’espatrio a coloro i quali avevano bisogno di cure urgenti all’estero – come nel noto caso di Belmina Ibrišević) . Il blocco dura per mesi. Da qui le proteste scoppiate il 6 giugno scorso, giorno del clamoroso assedio al Parlamento di Sarajevo. Per cercare di calmare le proteste, il Parlamento adotta subito una procedura provvisoria, una sorta di decreto che prevede l’emissione del numero d’identificazione durante i successivi 6 mesi, termine entro cui si sarebbe adottata una legge definitiva. Ma i manifestanti non si accontentano di un palliativo temporaneo e rilanciano la richiesta di una soluzione stabile ed immediata al problema. Le proteste continuano per settimane: per la prima volta nella Bosnia post-guerra, è una grande mobilitazione civica e trasversale alle divisioni nazionali.

Il 18 luglio sembra arrivare la svolta richiesta: la Camera dei Rappresentanti (il ramo basso del Parlamento) approva la nuova legge sul JMBG, ufficialmente con procedura d’urgenza – quasi una beffa, visto l’immane ritardo con cui si è arrivati al provvedimento -. Si introducono nove zone di registrazione, divise secondo le entità che formano il paese (5 nella Federazione di BiH, 3 nella Repubblica Srpska, 1 nel distretto autonomo di Brčko). Mentre fino ad ora la procedura d’emissione dei numeri era unica per tutto lo stato, con questa legge, invece, seguirà le linee etniche e la divisione territoriale della Bosnia-Erzegovina.
“L’epilogo lascia l’amaro in bocca”, afferma Valentina Pellizzer, residente a Sarajevo, che ha partecipato sin dall’inizio alle proteste per il JMBG. Riconosce che la legge è una “mezza vittoria” per il movimento, perché risolve una volta per tutte il problema concreto: “I/le bambine tornano ad esistere, vecchi e nuovi codici numerici a coesistere”. Ma al tempo stesso, la nuova legge sancisce la “conferma della pratica di fare ‘etno-politica’ di ogni cosa e su ogni cosa”. Proprio lo stesso giorno, il Parlamento approvava anche la legge sulla cittadinanza: un fatto non casuale per la Pellizzer, secondo cui passaggio di entrambe le leggi nello stesso giorno è un “voto di scambio”, frutto dei “calcoli etno-politici della lobby al potere. I rappresentanti della Repubblica Srpska ottengono di modificare la logica del numero di identificazione personale, e I politici della Federazione ottengono in cambio gli emendamenti alla legge sulla cittadinanza. Una partita giocata furbamente che lascia l’amaro in bocca a tutti/e coloro che avevano richiesto il rispetto della decisione della Corte costituzionale, senza colori nazionalistici ed etnici”.

Ma la vicenda non finisce qui: per l’approvazione definitiva, infatti, la legge ha bisogno di passare al ramo alto del Parlamento, la Camera dei Popoli. E quest’ultima boccia il testo, lo scorso 23 luglio. È bastato il voto contrario di un solo partito, SDA (conservatore-nazionalista bosgnacco), che detiene la maggioranza della quota bosgnacca dei parlamentari. Infatti, la Camera Alta si compone di 3 quote, o “club”, riservate ai cosiddetti “popoli costituenti” (bosgnacco, serbo e croato), ciascuno dei quali possiede un potere di veto, qualora ritenga violato un “interesse nazionale vitale”. I rappresentanti di SDA ritengono che la nuova legge violi l’integrità del paese stabilita dalla Costituzione, e che dunque la legge debba ritornare indietro. La mossa di SDA non va certo confusa con un tentativo di ingraziarsi la “Bebolucija” (d’altronde, gli alti esponenti del partito ebbero parole pesanti contro i manifestanti): piuttosto, SDA utilizza gli immensi poteri di ostruzione e ricatto offerti dal sistema istituzionale bosniaco, e dunque chiede il conto ai partiti avversari che hanno raggiunto il compromesso sul JMBG. Con il “no” della Camera dei Popoli, la palla passa (di nuovo) alla Corte Costituzionale della Bosnia-Erzegovina, che dovrà stabilire se il veto per “interesse nazionale” bosgnacco è stato legittimo o meno. Dunque, sarà la Corte a decidere se la legge entrerà definitivamente in vigore, o se dovrà rientrare in Parlamento. Nell’ultimo caso, tutto da capo. O, come dice la Pellizzer, “ricomincerà il balletto”.

Intanto è iniziato un altro balletto, un altro colpo di scena. Questa volta non parlamentare, ma giudiziario-penale. Martedì inizia a circolare la notizia che la Polizia Cantonale di Sarajevo ha avviato un’indagine sulle manifestazioni davanti al Parlamento. La polizia ha interrogato una decina di manifestanti, quelli più “in vista”, che al momento risultano indagati come sospetti promotori di un blocco stradale. Nonostante l’assenza di altri capi d’imputazione, non si escludono ulteriori sviluppi. “Questa è la dimostrazione del paese in cui viviamo. Me lo aspettavo, che per le pressioni di certi politici del Parlamento saremmo arrivati a questo”. ha detto Nihad Aličković, uno dei fermati, intervistato da Klix. “Non mi sento colpevole, ma orgoglioso, soprattutto per i cittadini che sono scesi in piazza e mostrato la propria faccia, la propria dignità”, ha aggiunto. “L’abbiamo fatto per salvare Belmina e gli altri bambini, e mi prendo piena responsabilità per tutto quello che abbiamo fatto, anche se non è stato secondo la legge.

Per quanto mi riguarda, possono anche arrestarmi”, ha affermato Feđa Štukan, un altro dei manifestanti fermati (oltre che noto attore cinematografico).

Va osservato che le proteste per il JMBG sono sempre state pacifiche, senza alcun episodio di violenza contro persone o cose. Ma l’ostilità da parte di istituzioni e forze politiche dominanti contro il movimento è stata, fin dall’inizio, molto pesante e – esattamente come la propria controparte – trasversale alle linee etno-nazionali, con risvolti inquietanti. Qualche settimana fa, un parlamentare dell’ SNSD (social-democratici nazionalisti serbi, al potere in Repubblica Srpska) addirittura informo’ che il suo partito avrebbe denunciato la TV nazionale, quella della Federazione e il portale web di Sarajevo Klix.ba per “incitamento alla popolazione contro i parlamentari serbi” (!). Dichiarazioni meno roboanti, ma similmente censorie e minacciose sono giunte anche da rappresentanti di altri partiti e nazionalità. Come dimostrano queste reazioni sconsiderate, le istituzioni e le forze politiche dominanti sono totalmente inabituate, impreparate e indisponibili a cimentarsi con un vero e tangibile dissenso. Un aspetto finora sconosciuto, nell’asettico consociativismo dell’ “Etno-politica” post-Dayton.

In fondo, anche da questo si può misurare la portata della Bebolucija che, nonostante tutti i suoi limiti –  causticamente evidenziati da questo articolo di OBC – ha davvero aperto una breccia dentro l’ “Etno-politica” bosniaca marmorea e, all’apparenza, indistruttibile. Che questa breccia sia un minuscolo e impercettibile foro, oppure un tunnel luminoso che può portare all’emancipazione dall’etno-politica, è ancora presto per dirlo.

Alfredo Sasso – East Journal