Finisce in tribunale la vicenda delle benedizioni pasquali nell’Ic 20, decise dal Consiglio di Istituto. Genitori e insegnanti, appoggiati da Scuola e Costituzione, hanno presentato un ricorso per riaffermare il principio della laicità della scuola.

Non è finita la vicenda delle benedizioni pasquali nelle scuole dell’Istituto Comprensivo 20, che include le scuole Carducci, Fortuzzi e Rolandino.
Dopo la richiesta di una parrocchia di poter andare ad aspergere di acqua santa gli istituti, nel rito che precede la Pasqua, il Consiglio di Istituto aveva adottato una delibera che consentiva ai sacerdoti di intervenire fuori dall’orario scolastico, coinvolgendo in modo non obbligatorio gli scolari che avessero voluto partecipare.
A precedere e seguire la deliberazione, c’era stata una protesta laica di genitori e insegnanti e, per contro, una presa di posizione (ovviamente favorevole) della Curia.

Ora, però, il caso approda al Tar, attraverso un ricorso presentato da un gruppo di genitori e insegnanti, appoggiati dall’associazione Scuola e Costituzione.
I ricorrenti chiedono al tribunale amministrativo di sospendere la delibera. “Benedizioni e atti di culto di qualunque religione – spiegano – per loro essenza non costituiscono attività didattica o culturale e dunque non sono classificabili tra le attività scolastiche e neppure extrascolastiche”. Del resto, “non ha importanza che la celebrazione sia non obbligatoria, prevista al di fuori dell’orario scolastico, perché la partecipazione o meno a un atto di culto dentro i locali della scuola discrimina i componenti della comunità scolastica in merito alla partecipazione ad un’attività da questa deliberata in base alle proprie idee religiose”.

A rafforzare la posizione di Scuola e Costituzione c’è già una sentenza, proprio del Tar dell’Emilia Romagna, che afferma come gli atti di culto e le celebrazioni si debbano compiere unicamente nei luoghi a essi naturalmente destinati, che sono le chiese e i templi e non nelle sedi scolastiche, in sedi cioè improprie e destinate alle attività didattiche e culturali, finalità appunto della scuola”.
I ricorrenti, inoltre, mettono in discussione la legittimità stessa della delibera: “Il consiglio di Istituto si è arrogato senza motivazione un diritto che non ha, neppure chiedendo il parere del Collegio dei docenti, organo che ha il compito di programmare tutte le attività didattiche e formative”. Per questo chiedono al Consiglio stesso di ritirare la decisione.