La strage di Las Vegas, con 58 morti e oltre 500 feriti, riapre il dibattito sulla diffusione delle armi in America, ma l’amministrazione Trump cerca di rimuovere il tema. In Italia, intanto, le associazioni dei produttori di armi si alleano con comitati che chiedono minori restrizioni sul porto d’armi. L’intervista a Giorgio Beretta dell’Opal.

All’indomani della strage di Boston, il 15 aprile 2013, l’allora presidente statunitense Barack Obama annunciò l’inizio di una battaglia per il controllo e la riduzione delle armi in Americ. Una battaglia che Obama perse, a testimonianza della forza della lobby delle armi anche nel congresso americano.
Oggi, dopo la strage di Las Vegas, con 58 morti e oltre 500 feriti provocatati dall’attacco del 64enne Stephen Paddock, il tema torna prepotentemente di attualità.

Non la pensa così il presidente Donald Trump, che ieri in conferenza stampa ha sostanzialmente cercato di rimuovere il tema della diffusione delle armi negli Stati Uniti. Trump ha invece cercato di puntare sull’emotività, definendo la strage “un atto di pura malvagità“, non considerando, ad esempio, che il killer possedeva una quarantina di armi.
Sempre secondo l’Amministrazione, inoltre, è prematuro parlare ora della legge sul porto d’armi, poiché occorre attendere i risultati delle indagini.

“Una linea molto simile a quella della National Rifle Association, la lobby americana dei detentori di armi – osserva ai nostri microfoni Giorgio Beretta dell’Opal – Il Nevada, lo Stato dove si è svolta questa carneficina  è uno degli stati più permissivi e dove ci sono minori controlli. Non è previsto alcun permesso per acquistare un arma, non occorre alcuna registrazione, non ci sono limiti al numero di armi acquistabili e addirittura si possono portare in pubblico, purché siano visibili”.
Il referente dell’osservatorio italiano sulle armi leggere insiste sul tentativo di rimozione del tema, che è una delle strategie per non affrontare la questione. E ricorda: “Tutte le stragi compiute negli ultimi 15 anni negli Stati Uniti sono state compiute con armi regolarmente detenute e vendute in modo legale“.

Eppure, la retorica del possesso delle armi come autotutela e strumento per avere maggiore sicurezza è molto diffusa negli Stati Uniti e non solo. Le evidenze, però, mostrano il contrario.
Se ne è accordo anche Caleb Keeter, il chitarrista della band che era proprio sul palco di Las Vegas durante l’attacco. Quello che è successo gli ha fatto cambiare idea:

“Sono stato un difensore del secondo emendamento per tutta la mia vita – ha scritto su Twitter – Fino a quanto accaduto ieri sera. Non posso esprimere quanto avessi torto”.

Beretta, però, sottolinea l’inquietante cedimento in favore di una maggiore diffusione delle armi anche in Italia.
Già l’allarme sulla corsa all’armamento da sempre più singoli cittadini, lanciato da alcuni questori italiani qualche tempo fa, era un indicatore di qualcosa che culturamente stava cominciando ad involvere nel nostro Paese.
Il dibattito sulla legittima difesa in Italia ha fatto il resto. La posizione di chi voleva la pistola libera e la licenza di uccidere un eventuale ladro è stata dipinta come maggioritaria sui media.

“Per fortuna – spiega l’esponente di Opal – la legge italiana sul porto d’armi è molto restrittiva, ma può comunque essere aggirata, o con il porto d’armi per tiro sportivo, che sta fortemente crescendo in Italia, o quello per attività venatoria”.
Quel che è peggio, però, è che in Italia si è creata un’associazione tra produttori di armi e gruppi che promuovono il porto d’armi per difesa personale. “Di recente – conclude Beretta – un comunicato di Anpam invita ad associarsi ad un comitato che chiede cambiare in maniera drastica l’impostazione mentale dei legislatori nazionali ed europei per stabilire il ‘diritto assoluto’ a portare un’arma”.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIORGIO BERETTA: