Secondo Luca Alessandrini, direttore dell’istituto storico “Parri”, l’apertura degli archivi sulle stragi in Italia è un bel gesto, ma rischia di essere un po’ demagogico. “Dipende di quali archivi stiamo parlando e servirebbe un soggetto terzo per desecretare alcuni archivi, come quelli dei corpi separati dello Stato”. Il collegamento delle informazioni, però, potrebbe portare ad una verità storica.

Archivi delle stragi: Il commento del Direttore del ”Parri”

Matteo Renzi ha firmato ieri il provvedimento che che dispone la declassificazione degli atti relativi ai fatti delle stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, Rapido 904. La notizia è stata riportata dalla stampa con la definizione di “apertura degli archivi sulle stragi”, ma è davvero così? Lo abbiamo chiesto a Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto Storico “Ferruccio Parri”.

Alessandrini, cosa ne pensa di questo provvedimento?
“Innanzitutto va detto che in Italia non esiste già più il segreto di Stato sulle stragi, quindi il provvedimento non abolisce il segreto di Stato. Il problema è un altro: si può abolire il segreto di Stato, ma se poi un ufficio non rende disponibili le carte, non sono segrete quelle disponibili, ma se altre vengono occultate, messe da parte o in un doppio archivio estremamente riservato, allora esiste un segreto di fatto. Questo è stato il problema italiano”.

Quindi l’atto del governo è inutile?
“Se l’iniziativa di Renzi significa che si vanno a ripulire tutti gli archivi di ufficio dei vari corpi separati dello Stato, allo scopo di trovare documenti relativi alle stragi: bene, siamo molto contenti, sarebbe una cosa importantissima. Però chi lo deve fare? Se questo compito venisse affidato a chi ha finora gestito l’ufficio, potrebbe essere ancora interessato ad occultare alcune informazioni. Quindi ci vorrebbe un soggetto terzo, che avesse accesso a questi archivi e che decidesse quali carte devono essere passate agli archivi di Stato e rese disponibili agli studiosi”.

Tutto, insomma, dipende da cosa prevede il provvedimento…
“Io penso che sia molto importante il gesto però siamo sempre sull’orlo della demagogia perché bisogna vedere poi se lo si fa davvero. Questo in termini di carte nuove, ma il discorso di Renzi sembra toccare le carte già note alla magistratura, che però risultano difficilmente accessibili. Questo perché sono sparse in mille atti processuali di mille sedi distrettuali che solo in un primo momento sono state messe a disposizione dei giudici. Quindi riuscire a concentrare tutte queste carte già note in un unico luogo facilmente raggiungibile, che potrebbero essere gli archivi di Stato, consentirebbe agli studiosi e non solo ai giudici di arrivare a contatto con questi documenti”.

Non servirebbe solo ai Tribunali, dunque.
“Esistono due livelli: uno è quello della ricostruzione giudiziaria dei fatti e su questo, com’è noto, siamo da anni impossibilitati a farlo. Se pensiamo, per esempio, alla strage di Piazza Fontana da cui sono passati 45 anni, risulta quasi impossibile stabilire una verità giudiziaria e trovare imputati ancora vivi e processabili. C’è però un’altra dimensione, quella della verità storica, della ricostruzione storica dei fatti e della loro interpretazione. Allora avere le carte negli archivi di Stato accessibili a chi studia la storia, ai giornalisti, ma anche ai cittadini sarebbe molto importante.”

Giusto un anno fa Paolo Bolognesi raccontava dell’iniziativa dell’associazione di digitalizzare e mettere anche in rete i documenti di vari processi, perché se questi documenti in singoli processi possono dire alcune cose, messi in rete possono costruire un mosaico più completo. Lei è d’accordo?
“Per capirlo meglio bisogna fare un esempio che renda più chiaro questo concetto. La giustizia si occupa di costruire una responsabilità individuale per un singolo fatto, cioè bisogna sapere chi ha messo materialmente, per esempio, la bomba in Piazza della Loggia. Una ricostruzione storica non ci consentirebbe forse di scoprire il colpevole, ma ci permetterebbe di capire perché chi ha messo la bomba era collegato ad una logica politica stragista-neofascista più ampia, a sua volta collegata alla logica di una parte dello Stato che riteneva utile e opportuno incentivare il terrorismo, al fine di stabilizzare il potere allora costituitosi in Italia, eccetera. Si costruirebbe quindi un quadro interpretativo più generale da cui non è detto che poi discendano necessariamente delle verità giudiziarie, ma il punto è che in questo momento abbiamo bisogno delle verità giudiziarie quanto dell’interpretazione storica che ci restituisca l’intera vicenda di questo paese”.