Il nuovo Rapporto Agromafie di Coldiretti e Eurispes evidenzia una presenza in aumento delle mafie nel comparto agroalimentare. Nel mirino della criminalità anche le eccellenze alimentari dell’Emilia-Romagna, con la contraffazione di parmigiano, pomodoro e vino.

Le mani della mafia sulle nostre tavole. Il business della contraffazione di prodotti agroalimentari nel 2014 ammonta a 15,4 miliardi di euro, in aumento del 10% rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Dalla produzione alla vendita, passando dalla distribuzione, gli affari delle mafie sono sempre più penetranti, attraverso finanza, intrecci societari, conquista di marchi prestigiosi, condizionamento del mercato e orientamento delle attività di ricerca. Secondo Coldiretti, “non vi sono zone franche rispetto a tali fenomeni”.

Le cosiddette agromafie fanno affari d’oro con i prodotti tipici dell’Emilia-Romagna: le principali eccellenze agroalimentari al centro della contraffazione sono il Parmigiano reggiano, il pomodoro e il vino. La categoria più interessata è quella dei formaggi Dop, spesso contraffatti attraverso la vendita di kit “fai da te” realizzati oltreoceano e non solo. Come sottolinea Coldiretti, infatti, in alcuni casi i kit vengono realizzati proprio in Italia, come nel caso dei “wine kit”, scoperti nell’agosto scorso a Reggio Emilia e commercializzati a livello internazionale, che consentivano di falsificare i più noti vini italiani Dop e Igp.

Mauro Tonello, presidente della Coldiretti Emilia-Romagna, prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: “ci accorgiamo che siamo aggrediti dalla mafia perché abbiamo un apparato di ricerca e controllo che funziona, questa è la parte positiva”. Innegabile, tuttavia, quanto sia “allarmante il fatto che queste contraffazioni siano sempre più imponenti, pericolose per le nostre aziende ma anche per la nostra salute“, spiega Tonello.

Nel Rapporto si legge come i capitali accumulati illegalmente sul territorio dagli agromafiosi trovano sbocco raggiungendo le città, in Italia e all’estero, dove possono confondersi infettando pezzi interi di buona economia. Ad esempio, spiega Coldiretti, “vengono rilevati, attraverso prestanome e intermediari compiacenti, imprese, alberghi, pubblici esercizi, attività commerciali soprattutto nel settore della distribuzione della filiera agroalimentare, creando di fatto un circuito vizioso, dal produttore al consumatore”.